La Corte di Cassazione tutela il marchio a bande colorate di K-WAY
La Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione, con sentenza n. 5491 del 18 febbraio 2022, si è espressa in favore della tutela dei diritti di marchio figurativo “striscia colorata” K-Way raffigurati di seguito.
marchio di fatto STRISCIA COLORATA (tre bande verticali di colore giallo arancio e blu navy)
marchio comunitario registrato (cinque bande verticali parallele di diverse dimensioni, di colore blu navy, arancio, giallo, arancio e blu navy)
Il contenzioso vedeva contrapporsi, da un lato, Basic Net S.p.A. e Basic Italia S.p.A. (collettivamente “Basic”), rispettivamente titolare e licenziataria del noto brand K-Way, e, dall’altro, G. A. S.p.A., originariamente citata in giudizio innanzi al Tribunale di Torino (si veda il commento alla relativa decisione qui in questo blog) per aver commercializzato prodotti recanti delle bande colorate in asserita contraffazione dei marchi in questione.
G.A. S.p.A. aveva richiesto al Tribunale di Torino, in via riconvenzionale, che venisse dichiarata la nullità della registrazione del marchio per difetto di distintività. Per le stesse ragioni, contestava altresì il riconoscimento giudiziale della sussistenza del marchio di fatto.
Soccombente sia in primo che secondo grado, G.A. aveva quindi deciso di far valere le proprie ragioni innanzi alla Cassazione.
Secondo G. A., in particolare, la Corte d’Appello non aveva tenuto conto del fatto che la striscia colorata in questione, in un settore quale quello dell’abbigliamento, spesso caratterizzato da strisce, sarebbe sicuramente percepita dal pubblico quale mero elemento decorativo e non come segno distintivo. La Corte di Cassazione ha concluso invece che la Corte d’Appello aveva debitamente esaminato tale tesi di G.A., respingendola in corretta applicazione del criterio fissato dalla Corte di Giustizia UE (caso C-49/02) sulla tutelabilità di combinazioni cromatiche come marchio: queste sono tutelabili se l’accostamento dei colori è ripetitivo e costante nel tempo, in modo da permettere ai consumatori di percepire il rapporto tra prodotto e produttore a cui quella specifica striscia è riferita.
G.A. lamentava poi che la corte territoriale avesse erroneamente ritenuto in ogni caso acquisita la capacità distintiva del marchio per effetto del fenomeno del c.d. “secondary meaning” per via del mero uso risalente, costante e diffuso del segno, senza avere però verificato se il pubblico lo riconducesse effettivamente a Basic. A tal proposito, G.A. insisteva nell’affermare che la capacità distintiva del marchio e la interdipendente percezione del pubblico dello stesso non potevano considerarsi provati perché non erano stati forniti sondaggi che lo attestassero. In replica, la Corte di Cassazione ha invece ribadito che nel vigente ordinamento processuale, improntato al principio del libero convincimento del giudice, la decisione può fondarsi sulla base di ogni possibile mezzo probatorio. In particolare, le indagini demoscopiche costituiscono solo uno dei tanti strumenti di indagine che il Giudice può – ma non necessariamente deve – utilizzare, non essendo strumento necessario per provare la sussistenza dei requisiti costitutivi del marchio.
Premessa la validità dei segni distintivi in contestazione, la Corte ha infine ribadito che la valutazione sulla confondibilità tra segni similari deve essere operata dal giudice attraverso un esame globale e sintetico, tenuto conto, oltreché degli aspetti prettamente grafici e visivi, della notorietà del marchio nonché del grado di somiglianza tra prodotti.
La Corte ha quindi confermato quanto espresso dalla Corte di Appello, reputando le strisce di G.A. idonee a indurre i consumatori medi a ritenere erroneamente che i prodotti offerti siano riconducibili a Basic o addirittura che tra le due aziende sia in corso attività di co-marketing.
Per le ragioni sopra esposte, la Corte ha rigettato il ricorso con conseguente definitiva conferma della decisione d’appello, condannando G.A. S.p.A al pagamento alle spese del giudizio.