Il Tribunale di Torino sull'imitazione del packaging

Con ordinanza del gennaio 2023, resa pubblica solo di recente, il Tribunale di Torino ha tutelato il packaging del noto prodotto ZZZQuil di Procter & Gamble contro quello del prodotto concorrente qui sotto raffigurato accanto al primo:

In entrambi i casi si tratta di un integratore alimentare per favorire il sonno, in forma di pastiglie gommose al gusto di frutti di bosco. P&G, dopo aver lanciato il suo prodotto in Italia nel 2019, nel 2022 aveva scoperto il lancio del prodotto della controparte (la “resistente”) e agito in giudizio in via cautelare perché ne fosse inibita la commercializzazione in via d’urgenza.

 

Nella decisione in commento, il Tribunale sottolinea innanzitutto che il packaging dello ZZZQuil “appare avere carattere originale e distintivo”, acquisito in particolare grazie alla “intensissima pubblicizzazione realizzata in Italia, a partire dal 2019, per un costo di circa 21 milioni di euro”. Nello specifico, il Tribunale fa riferimento a “campagne di comunicazione massicce e diffuse contemporaneamente su diversi canali pubblicitari”, quali in particolare:

- sito internet dedicato;

- pagine di social network;

- continui spot televisivi;

- utilizzo di testimonial famosi;

- iniziative originali come il rivestimento dei tram di varie città italiane;

- uso di slogan ripetuti, diventati tormentoni, come ‘ho solo dormito meglio’.

 

Il Tribunale analizza quindi i packaging di altri prodotti concorrenti portati alla sua attenzione dalla resistente, che sosteneva che quello dello ZZZQuil fosse costituito da elementi generalizzati sul mercato e quindi non monopolizzabili. La decisione conclude invece che i packaging in questione non sono in grado di minare il carattere distintivo di quello dello ZZZQuil. Quelli che seguono, infatti sono considerati “del tutto diversi”:

Quanto ai due packaging più simili di seguito riprodotti, la decisione afferma da un lato che le etichette sono diverse da quella P&G; dall’altro, che in ogni caso “la presenza sul mercato di questi prodotti non appare rendere lecita la commercializzazione del prodotto della resistente, potendo trattarsi di altre violazioni del packaging attoreo, come riferito dalla ricorrente in udienza (che riferisce di aver già preso misure per contrastarli)”.

Il Tribunale passa quindi a esaminare il prodotto della resistente, e conclude che esso “appare illecitamente imitare il confezionamento attoreo, perché ne sembra riprendere tutti gli elementi identificativi”, ovvero:

- la forma e il colore del barattolo, tutto in plastica viola, compreso il tappo;

- l’etichetta bianca con la fascia centrale viola con scritta bianca;

- le immagini dei fiori e delle erbe, con prevalenza dei toni verde e viola e qualche tocco di giallo;

- l’immagine della pastiglia gommosa, con iscritto il numero di pastiglie contenute nel barattolo.

 

Peraltro, al di là dell’esame analitico di tali elementi, il Tribunale afferma che ciò che più colpisce è la rilevante somiglianza nell’insieme dei due barattoli, che ad un esame sintetico e complessivo appaiono appartenere alla stessa linea di prodotti, di uguale provenienza imprenditoriale. Ciò perché ad un primo sguardo di insieme, appaiono avere le medesime caratteristiche cromatiche, di posizionamento, grafica e colore delle scritte, e avere immagini floreali somiglianti”.

 

Il Giudice precisa anche che la confondibilità tra i due prodotti non può essere esclusa dalla presenza del marchio della resistente, “collocato sulla parte posteriore, quasi invisibile”.

 

In conclusione, il Tribunale ritiene che l’uso del packaging della resistente per un prodotto identico a quello di P&G costituisca concorrenza sleale confusoria ai sensi dell’art. 2598 n. 1 c.c. e possa essere “inquadrato nel fenomeno del c.d. look-alike: si tratta di una pratica illecita con la quale un concorrente, per facilitare le vendite dei propri prodotti, imita la forma esteriore complessiva, e in particolare i colori, dei packaging dei prodotti più noti di altre aziende, pur senza imitarne necessariamente i marchi, così sfruttando la familiarità che i consumatori hanno con l’aspetto di un prodotto notevolmente accreditato sul mercato, ottenendo un risparmio negli investimenti necessari per il lancio, o rilancio, del prodotto”.

 

Alla luce di ciò, il Tribunale ha inibito l’ulteriore commercializzazione del prodotto della resistente, ordinandone il ritiro dal commercio entro 40 giorni e ordinando la pubblicazione del dispositivo della decisione su Il Corriere della Sera e sul sito web della resistente. Ha inoltre fissato le penali di € 250 per ogni prodotto reperito sul mercato dopo l’emissione del provvedimento, e di € 500 per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione del medesimo. Infine, ha condannato la resistente al risarcimento delle spese legali, liquidate in € 9.000 oltre 15% di spese e accessori.

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Il Tribunale di Milano sul risarcimento del danno da violazione di disegno

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