La tutela del marchio del bassotto: Thom Browne Inc. vs. Harmont & Blaine S.p.a.

La Corte d’Appello di Milano si è recentemente pronunciata in relazione alla tutela dei marchi di titolarità della società Harmont & Blaine S.p.a., confermando quanto già statuito in primo grado dal Tribunale che aveva riconosciuto la notorietà dei segni raffiguranti il profilo di un bassotto (domanda n. MI2013C011340 del 12.12.2013; registrazione n. 1598276 del 9.06.2014; domanda n. MI2013C011334 del 12.12.2013; registrazione n. 0001603663 del 12.08.2014; marchio internazionale n. 1249733 registrato in data 9.06.2014) e la violazione degli stessi da parte della società Thom Browne Inc.

La vicenda trae origine da un’azione cautelare proposta innanzi al Tribunale di Napoli nel 2017 da parte della Harmont & Blaine, nota casa di moda italiana, nei confronti della Thom Browne Inc., società anch’essa operativa nel settore dell’abbigliamento in cui opera mediante la commercializzazione di prodotti recanti il marchio denominativo “Thom Browne” accompagnato in alcuni capi dalla raffigurazione di un bassotto a pelo lungo rappresentante l’animale domestico del designer. Al termine del giudizio cautelare l’allora ricorrente vedeva riconosciuta la lesione dei propri marchi raffiguranti la figura del bassotto e otteneva un provvedimento inaudita altera parte, successivamente confermato con ordinanza, con cui veniva disposta l’inibitoria nei confronti della Thom Browne alla produzione e alla vendita di prodotti recanti segni simili, disponendo altresì il sequestro di tali beni e della relativa documentazione contabile.

A seguito di ciò, la Thom Browne reagiva citando in giudizio in via ordinaria la Harmont & Blaine davanti al Tribunale di Milano per ottenere una pronuncia di accertamento negativo circa la sussistenza di proprie condotte contraffattive, richiedendo altresì la condanna della convenuta per concorrenza sleale, realizzatasi attraverso l’invio di lettere di diffida ai rivenditori Thom Browne.

Harmont & Blaine si costituiva in giudizio eccependo in via pregiudiziale l’incompetenza territoriale del Tribunale di Milano a favore di quello di Napoli e proponendo nel merito domanda riconvenzionale volta ad accertare la contraffazione da parte dell’attrice dei marchi di proprietà della convenuta, recanti la figura del bassotto di profilo, con conseguente condanna al risarcimento dei danni patiti da accertarsi ex art. 125 c.p.i.

All’esito del giudizio di primo grado il Tribunale di Milano, respingendo preliminarmente l’eccezione di incompetenza territoriale, accertava e dichiarava che Thom Browne Inc., solidalmente con una società italiana del proprio gruppo – la Thom Browne Retail Italy S.r.l. - , si era resa responsabile di contraffazione dei marchi di proprietà di Harmont & Blaine recanti la figura del bassotto e condannava le attrici al risarcimento del danno e alle spese di lite, ordinando altresì la pubblicazione del dispositivo della sentenza. Il Tribunale di Milano, in particolare, riteneva provate documentalmente le registrazioni della convenuta dei marchi relativi al cane bassotto, definiva i segni come non deboli (si tratta, infatti, di un disegno che non è descrittivo dei prodotti) e riconosceva la notorietà dell’elemento grafico, il quale prevaleva su quello verbale “Harmont & Blaine”.

Avverso tale sentenza la Thom Browne proponeva appello, chiedendo l’integrale riforma del provvedimento impugnato. Anzitutto l’appellante lamentava che il Tribunale avesse erroneamente basato la propria decisione sul rilievo che i marchi della convenuta fossero costituiti esclusivamente dal bassotto e non anche dalla parte denominativa “Harmont & Blaine” e non avesse, altresì, considerato come l’animale fosse, nel segno dell’appellante, un mero elemento decorativo. Sul punto la Corte d’Appello ha nuovamente confermato la notorietà dei marchi dell’appellata, utilizzati come cuore dei segni distintivi della Harmont & Blaine sin dagli anni 90: è stato infatti riconosciuto che tale bassotto di profilo, per l’originalità del suo utilizzo nel contraddistinguere capi di abbigliamento, è da solo in astratto idoneo a procurare un rischio di confusione o di associazione con i prodotti di un soggetto terzo, qualora venga utilizzato un identico simbolo per contrassegnare beni appartenenti alla medesima categoria merceologica. Circa la comparazione tra i marchi, infatti, la Corte ha precisato come il giudizio di confusione debba essere effettuato non solo in via analitica, attraverso l’esame dei singoli elementi che lo compongono, ma soprattutto in via sintetica, avuto riguardo al grado medio di percezione degli utenti ai quali il prodotto è destinato. Proprio per tale ragione è irrilevante che il segno sia stato utilizzato dall’appellante in modo ornamentale, così come la differenza di costi tra i prodotti delle due imprese, rilevando unicamente la percezione del pubblico e l’idoneità a creare un nesso tra le parti.

In merito alla contraffazione, la Corte d’Appello ha ritenuto che la decisione di primo grado avesse correttamente rilevato che i beni commercializzati da Thom Browne riportassero il profilo di un bassotto stilizzato sostanzialmente identico a quello che contraddistingue i prodotti dell’appellata e che le differenze tra i segni ( diversa posizione della coda, linee più tondeggianti, lunghezza del pelo e ripetizione della figura) non fossero sufficienti a prevenire un rischio di confusione o associazione tra il pubblico. Difatti, secondo la Corte, dalla possibile associazione tra i segni cui potrebbe essere indotto il consumatore deriva un vantaggio alla parte appellante che così facendo si aggancia parassitariamente al noto marchio della Harmont & Blaine, ottenendo una migliore collocazione sul mercato.

In merito ai profili risarcitori, anche essi oggetto di impugnazione, la Corte d’Appello ha ritenuto condivisibile l’applicazione dell’art. 125 c.p.i. effettuata dal Tribunale, che aveva liquidato il danno emergente sulla base delle spese vive sostenute per la difesa dei marchi, investimenti pubblicitari, eventuali costi documentati per il passato e prevedibili per il futuro di una campagna correttiva, il valore del diritto di privativa prima e dopo le condotte oggetto dei provvedimenti cautelari. Anche per il calcolo del lucro cessante, il Tribunale ha effettuato una valutazione di tipo equitativo basandosi sugli elementi probatori in atti: difatti il mancato integrale adempimento da parte dell’attrice all’ordine di esibizione disposto durante la fase istruttoria del giudizio di primo grado non ha permesso di poter calcolare in modo preciso l’ammontare di tale voce.

Infine, la Corte ha rigettato anche la domanda sulla concorrenza sleale, realizzata secondo la Thom Browne Inc. attraverso delle comunicazioni distorte e non veritiere inviate da parte della Harmont & Blaine ai propri retails con cui si diffidava dal commercializzare prodotti recanti la figura del bassotto. Sul punto la Corte d’Appello, confermando quanto già disposto in primo grado, ha rigettato la domanda “non essendo stato provato alcun comportamento concorrenziale illecito posto in essere da parte di Harmont & Blaine, tenuto conto della accertata fondatezza delle sue azioni giudiziali, né, tanto meno, la sussistenza di un danno in capo alle attrici”.

Ulteriori motivi d’appello hanno riguardato la mancata pronuncia sulla domanda di accertamento negativo in merito alla sussistenza di condotte di concorrenza sleale e l’ordine di pubblicazione della sentenza, entrambi rigettati dalla Corte d’Appello, così come l’assunto secondo cui sarebbe stato applicato in modo errato da parte del giudice di primo grado il criterio della soccombenza per la condanna alle spese di lite.

Per tutte le ragioni di cui sopra la Corte d’Appello ha confermato integralmente la sentenza di primo grado ed ha condannato la Thom Browne alle spese del giudizio.

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