La Corte di Cassazione sul diritto all’oblio
Lo scorso 2 febbraio la Corte di Cassazione si è espressa sul bilanciamento degli interessi concorrenti e, al contempo, costituzionalmente protetti, afferenti al diritto all’oblio.
La vicenda trae origine da un’azione istaurata da un privato nei confronti di Yahoo! Inc e Yahoo! Italia s.r.l., ora in liquidazione, al fine di ottenere la rimozione di diversi URL da risultati delle ricerche su internet effettuate con il motore di ricerca Yahoo! che ricollegavano il suo nome ad una vicenda giudiziaria che egli riteneva non più attuale. Su ricorso dell’interessato, il Garante per la protezione dei dati personali ordinava alle società resistenti la deindicizzazione di alcuni contenuti nonché l’eliminazione delle URL e delle pagine presenti all’interno della cache a queste URL collegate.
Le due società adivano quindi il Tribunale di Milano, chiedendo l’annullamento del provvedimento del Garante. Il Tribunale di Milano, con decisione del 15 gennaio 2016, respingeva il ricorso ritenendo corretto il provvedimento dell’Autorità ed affermando che i diritti fondamentali della persona interessata dovevano “prevalere non solo sull’interesse economico del gestore del motore di ricerca, ma anche sull’interesse del pubblico a trovare l’informazione“.
Le società impugnavano la decisione innanzi alla Corte di Cassazione, contestando, tra l’altro, la giurisdizione dell’Autorità Garante italiana in un’azione verso un soggetto estero operante al di fuori del territorio nazionale e, soprattutto, la richiesta di cancellazione dei dati contenuti nella cache, ritenendola sproporzionata.
La Suprema Corte, con la decisione oggi in commento, ha anzitutto confermato la giurisdizione del Garante italiano ad agire nei confronti di Yahoo!Italia s.r.l. in liquidazione e di Yahoo! Inc., in virtù del fatto che le attività del gestore di ricerca e quelle della sua affiliata, con stabilimento situato in Italia, sono “inscindibilmente connesse”.
Quanto alla portata degli ordini di rimozione, la Suprema Corte ha in primo luogo confermato il diritto alla deindicizzazione dei risultati con cui il motore di ricerca collega il nome di un privato cittadino ad una vicenda giudiziaria di interesse pubblico non più attuale.
Secondo la Corte, la deindicizzazione dell’informazione si presenta come uno strumento inteso a impedire che un determinato dato personale, nel caso di specie il nome del soggetto interessato, sia collegato dal motore di ricerca a fatti di cui internet continua a conservare memoria. Ne consegue, tuttavia, la non completa eliminazione dell’informazione dalla rete, che rimarrà ancora rintracciabile sul sito sorgente o attraverso metodologie di ricerca più complesse.
Secondo la Corte, la deindicizzazione opera già intrinsecamente un bilanciamento tra l’interesse del singolo ad essere dimenticato e quello della collettività ad essere informata.
La cancellazione delle copie cache, invece, impedisce al motore di ricerca di orientare l’utente verso il sito ove la notizia in questione è pubblicata, a prescindere dalle parole chiave utilizzate, anche diverse da quella corrispondente al nome dell’interessato. In tal modo, vi è una evidente intenzione di far prevalere il diritto alla riservatezza di una persona su quello all’informazione della collettività.
Per quanto sopra, la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso di Yahoo! Inc. e dell’affiliata ed ha cassato con rinvio la decisione del Tribunale di Milano affermando che “la cancellazione delle copie cache relative a una informazione accessibile attraverso il motore di ricerca, in quanto incidente sulla capacità, da parte del detto motore di ricerca, di fornire una risposta all’interrogazione posta dall’utente attraverso una o più parole chiave, non consegue alla constatazione della sussistenza delle condizioni per la deindicizzazione del dato a partire dal nome della persona, ma esige una ponderazione del diritto all’oblio dell’interessato col diritto avente ad oggetto la diffusione e l’acquisizione dell’informazione, relativa al fatto nel suo complesso, attraverso parole chiave anche diverse dal nome della persona”.