La Cassazione su violazione di segreti commerciali e concorrenza sleale
La Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione, con ordinanza n. 37362 del 29 novembre 2021, si è recentemente espressa in materia di violazione di segreti commerciali e concorrenza sleale.
Il contenzioso vedeva contrapporsi, da un lato, una società attiva nel settore della creazione e produzione di componenti per veicoli (la “ricorrente”), e, dall’altro, una azienda statunitense produttrice di componenti meccanici vari per le biciclette (la “resistente”). Queste avevano siglato un accordo per la fabbricazione degli stampi e la produzione di un freno a disco idraulico per cicli, accompagnato da un parallelo accordo di riservatezza. Secondo la ricorrente, la controparte aveva violato entrambi gli accordi, sostanzialmente sottraendole il proprio know-how riservato e commettendo così gli illeciti di violazione di segreti commerciali ex art. 99 CPI e concorrenza sleale ex art. 2598 c.c.
La ricorrente aveva visto respingere sia dal Tribunale sia dalla Corte di Appello di Firenze le proprie domande di accertamento degli illeciti in questione e di conseguente risarcimento dei danni. In particolare, secondo la Corte la ricorrente non aveva dimostrato di avere ideato innovazioni o soluzioni tecniche originali, essendosi limitata a una mera attività di ingegnerizzazione facilmente replicabile da qualsiasi esperto nel settore e perciò inidonea a integrare know-how tutelabile per legge. Il Giudice aveva peraltro osservato che la ricorrente, ai fini della tutela dei propri segreti commerciali ai sensi degli articoli 98 e 99 C.P.I, avrebbe dovuto fornire in giudizio la prova del contenuto delle informazioni in questione, del loro valore economico nonché delle misure di secretazione adottate, cosa che non aveva fatto. In assenza di suddette prove, secondo la Corte, mancava “in radice la possibilità di ritenere dette informazioni non divulgabili a terzi”, ed era esclusa anche la possibilità “di ravvisare nell’eventuale condotta divulgativa posta in essere […] un’ipotesi di concorrenza sleale per contrarietà alla correttezza professionale”.
La ricorrente aveva quindi deciso di far valere le proprie ragioni anche innanzi alla Cassazione, denunciando, tra gli altri, sia la nullità della sentenza per mancato accoglimento della propria istanza di consulenza tecnica (“C.T.U.”) sull’esistenza o meno di informazioni riservate ex art. 98 C.P.I., sia la violazione o falsa applicazione dell’articolo 2598 n.3 c.c. in materia di concorrenza sleale da parte della Corte d’Appello di Firenze.
Quanto al primo motivo, nel rigettarlo la Cassazione afferma di considerare sufficienti i documenti prodotti in giudizio per ritenere la condotta della ricorrente “attività di mera ingegnerizzazione” non tutelabile come know-how ai sensi dell’art. 98 C.P.I., senza bisogno di disporre C.T.U. a riguardo. Inoltre, a ulteriore giustificazione della negata C.T.U., la Corte rileva che la ricorrente non aveva neppure indicato nell’atto introduttivo al giudizio quali fossero le “asserite” informazioni riservate sottratte. Quanto al secondo motivo, la Corte, ribadisce che, ai fini della affermazione della responsabilità per concorrenza sleale, colui che agisce in giudizio per la tutela delle proprie informazioni riservate è tenuto a fornire la prova della condotta contraria ai principi di correttezza professionale e dell’idoneità di quest’ultima a danneggiarlo. Secondo il Giudice, detta responsabilità in capo alla società statunitense non può sussistere, dal momento che la ricorrente non aveva fornito prova delle sue informazioni riservate e che la sua attività era da considerarsi mera attività ingegnerizzazione replicabile da qualsiasi esperto.
Per le ragioni sopra esposte, la Corte ha rigettato il ricorso con conseguente definitiva conferma della decisione d’appello.