I limiti alle vendite online violano le norme sulla concorrenza, dice la Corte
Con sentenza del 13 ottobre scorso nel caso C-439/09, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE) ha affermato che il divieto contrattuale della rivendita di determinati prodotti via internet costituisce una restrizione della concorrenza per oggetto ex art. 101 TFUE se “a seguito di un esame individuale e concreto del tenore e dell’obiettivo della clausola contrattuale in parola nonchè del contesto giuridico ed economico in cui si colloca, risulta che, alla luce dei prodotti di cui trattasi, tale clausola non è oggettivamente giustificata“.
Il procedimento (francese) da cui prende origine la pronuncia della Corte riguarda la società Pierre Fabre Dermo-Cosmétique del gruppo Pierre Fabre, titolare di diversi marchi di prodotti cosmetici (es. Avène) commercializzati soprattutto nelle farmacie benchè sottratti al relativo monopolio in quanto non medicinali. I contratti di distribuzione di detti prodotti precisano in particolare che la vendita deve essere effettuata esclusivamente in uno spazio fisico, con la presenza obbligatoria di un laureato in farmacia, così escludendo completamente ogni possibilità di vendita via internet. Ciò aveva portato l’Autorité de la concurrence francese a rilevare che tale modalità di distribuzione costituisce una restrizione della concorrenza contraria all’art. 81 CE (ora art. 101 TFUE) ed all’art. L. 420‑1 del codice di commercio francese, ragion per cui l’Autoritè aveva imposto alla Pierre-Fabre di sopprimere, nei suoi contratti di distribuzione selettiva, tutte le clausole equivalenti ad un divieto di vendita su Internet dei suoi prodotti, nonchè di prevedere espressamente nei suoi contratti la possibilità, per i suoi distributori, di fare ricorso alla distribuzione via internet. (…)
Contro tale decisione la Pierre Fabre ha proposto ricorso avanti alla corte d’appello di Parigi, la quale ha effettuato il rinvio pregiudiziale alla CGUE per chiedere se il divieto imposto dalla Pierre Fabre costituisca effettivamente una restrizione della concorrenza per oggetto ex art. 101 n. 1 TFUE, norma che vieta gli accordi che abbiano “per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all’interno del mercato interno“.
La CGUE ha in effetti rilevato che “la clausola contrattuale in esame, escludendo, di fatto, una modalità di commercializzazione di prodotti che non richiede lo spostamento fisico del cliente, riduce considerevolmente la possibilità per un distributore autorizzato di vendere i prodotti oggetto del contratto a clienti situati al di fuori del suo territorio contrattuale o della sua zona di attività“, ed è dunque idonea a restringere la concorrenza in tale settore. Nell’ambito dei prodotti in oggetto, peraltro, non risultano esservi giustificazioni legittime a tale restrizione: tali non sono, infatti, precisa la Corte, nè la necessità di fornire una consulenza personalizzata al cliente e di assicurare la tutela del medesimo contro un utilizzo non corretto di prodotti, nè l’obiettivo di preservare un’immagine di prestigio.
La decisione della Corte conferma l’orientamento di quest’ultima in favore della commercializzazione dei prodotti via internet. Ciò impone ai produttori di verificare ed eventualmente modificare i poropri accordi di distribuzione, per accertarsi che essi non includano clausole come quella contestata a Pierre Fabre che, in quanto costituenti violazione della normativa sulla concorrenza, sarebbero nulle.