Crackare le console per videogiochi costituisce reato?
Con sentenza n. 8791 del 7 marzo 2011 la III sezione penale della Corte di Cassazione è tornata sul tema della c.d. “crackatura” delle console per videogiochi, consolidando l’orientamento giurisprudenziale già espresso in passato a riguardo.
Il procedimento al vaglio del giudice di legittimità nasceva dal fatto che l’indagato aveva pubblicizzato e commercializzato dispositivi e servizi mediante i quali era possibile modificare le console Nintendo eludendo le misure tecnologiche di protezione ivi presenti, al fine di poter utilizzare sulle console giochi non originali. La fattispecie di reato ipotizzata era quella dell’art. 171ter della Legge sul Diritto d’Autore (l. 633/41, L.d.A.), che punisce chiunque “fabbrica, importa, distribuisce, vende, noleggia, cede a qualsiasi titolo, pubblicizza per la vendita o il noleggio, o detiene per scopi commerciali, attrezzature, prodotti o componenti ovvero presta servizi che abbiano la prevalente finalità o l’uso commerciale di eludere efficaci misure tecnologiche di cui all’art. 102-quater ovvero siano principalmente progettati, prodotti, adattati o realizzati con la finalità di rendere possibile o facilitare l’elusione di predette misure”. Le misure tecnologiche di cui all’art. 102-quater L.d.A. cui la norma incriminatrice fa riferimento sono le misure che i titolari dei diritti d’autore possono apporre sulle proprie opere per assicurarne materialmente la protezione di fronte ad atti non consentiti (es. misure contro la copia non autorizzata). (…)
Secondo la difesa dell’indagato, il proprio comportamento non costituiva in realtà reato in quanto i dispositivi e servizi da esso commercializzati servivano a modificare solo le console, e non i videogiochi, le quali console a differenza dei videogiochi non erano da considerarsi opere protette dal diritto d’autore: di conseguenza, le misure che venivano aggirate con i dispositivi e servizi di modifica non erano misure a tutela di un’opera protetta ai sensi degli artt. 102-quater e 171-ter L.d.A., ciò che escludeva il reato.
Il Tribunale del Riesame di Firenze aveva in effetti accolto la difesa dell’indagato, revocando il sequestro probatorio precedentemente disposto nei suoi confronti. Con la sentenza in questione la Cassazione ha però annullato la decisione del Riesame in quanto fondata su una erronea lettura delle norme applicate, rinviando al Tribunale di Firenze per un nuovo esame. Nel fare ciò, la Cassazione ha ribadito quanto già espresso nelle proprie precedenti decisioni n. 23765/2010 e n. 33768/2007, invitando il Tribunale a tenere conto, nel successivo nuovo esame, dei principi ivi affermati. In sostanza secondo la Suprema Corte la norma incriminatrice di cui all’art. 171-ter L.d.A. non richiede che le misure tecnologiche di protezione siano apposte direttamente sulle opere tutelate (cioè, nel caso in questione, i videogiochi), ben potendo esse operare invece sulla base di un dialogo tra l’opera tutelata e il supporto necessario a riprodurla (in quel caso la console): così, la misura apposta sul videogioco “dialoga con l’altra misura apposta sull’hardware e le due, agendo in modo complementare tra loro, accertano la conformità dell’originale, consentendone la lettura”. Perciò, dice la Corte, “è innegabile che l’introduzione di sistemi che superano l’ostacolo al dialogo tra consolle e software non originale ottengono il risultato oggettivo di aggirare i meccanismi di protezione apposti sull’opera protetta” e che “alle modifiche deve essere riconosciuta necessariamente la prevalente finalità di eludere le misure di protezione indicate dall’art. 102 quater”.