Tutela del know-how: la “descrizione” richiede il fumus della titolarità e della violazione di segreti commerciali in senso stretto (ord. Trib. delle Imprese di Milano del 10/12/2024)

La misura della descrizione, di cui agli artt. 129 e 130 C.p.i. del Codice della proprietà industriale, quando si verta in tema di informazioni riservate, richiede il fumus della titolarità e violazione di segreti commerciali in senso stretto ex artt. artt. 98 e 99 c.p.i.: ne ha fatto le spese una società italiana che si era rivolta al Tribunale delle Imprese di Milano con un ricorso urgente per descrizione, sequestro e inibitoria.

I fatti

La ricorrente, una grossa società specializzata nei servizi e soluzioni ICT, aveva esposto di essere stata per quasi 15 anni tra i principali fornitori di servizi informatici di una delle Authority italiane, grazie alla ripetuta aggiudicazione, tramite successive gare d’appalto, dei servizi di sviluppo software.

Tale lungo rapporto avrebbe condotto allo sviluppo di un rilevante know-how proprietario, relativo al funzionamento dei servizi informatici oggetto dell’appalto e dei relativi processi e metodologie.

Nel 2020, l’appalto per i servizi in questione era stato tuttavia aggiudicato, a seguito di procedura per l’affidamento, a una società concorrente. Ne era seguita una fase di passaggio delle consegne cui, per conto della ricorrente, aveva partecipato un team di specialisti con precedente esperienza presso l’Authority, depositari del presunto know-how proprietario maturato negli anni di rapporto con la stessa.

Secondo la ricorrente, in occasione del passaggio delle consegne la nuova aggiudicataria aveva messo in atto uno storno di personale finalizzato a procurarsi il know-how indispensabile per operare sulla commessa - di cui essa non disponeva - così sottraendolo indebitamente alla prima.

A supporto della tesi, la ricorrente aveva esposto che, nell’arco di pochi mesi successivi al termine della fase di transizione, cinque dipendenti del suo team dedicato all’Authority erano stati assunti dalla nuova aggiudicataria dell’appalto; e che successive verifiche compiute da esperti informatici sui suoi sistemi e sui computer dei dipendenti fuorusciti avevano rilevato tracce di download e trasferimento massivo di file aziendali e di uso di memorie esterne.

Allegando che tali condotte costituissero concorrenza sleale per storno di dipendenti e sottrazione di segreti commerciali, la ricorrente aveva chiesto in via urgente al Tribunale delle Imprese di Milano di concedere la descrizione inaudita altera parte, nei confronti della società concorrente (resistente principale) e dei suoi ex dipendenti, di tutte le informazioni riconducibili alla ricorrente stessa o ai propri clienti, reperite, in forma digitale o cartacea, nei computer o archivi cartacei trovati presso la sede della prima e le abitazioni private dei secondi.

Aveva inoltre chiesto che, in esito alla descrizione, il Tribunale sequestrasse le informazioni sottratte e pronunciasse i) nei confronti dell’azienda concorrente, inibitoria dal continuare ad avvalersi delle prestazioni dei dipendenti stornati e ii) nei confronti di tutti i resistenti, inibitoria dall’utilizzo delle informazioni riservate in ipotesi sottratte.

Il Tribunale di Milano aveva inizialmente concesso inaudita altera parte la descrizione, eseguita dall’ufficiale giudiziario e dall’ausiliario tecnico mediante estrazione e copia di file da server e computer aziendali e personali, rinviando la decisione sulla conferma del provvedimento e sulle altre misure richieste all’instaurazione del contraddittorio.

A seguito delle operazioni di descrizione, i resistenti, costituitisi in giudizio, avevano eccepito che il trasferimento di dipendenti da un’azienda all’altra rientrasse nella normale dinamica della mobilità del personale specializzato e avevano contestato la stessa appartenenza del know-how oggetto di causa al patrimonio della ricorrente, sulla base di norme contenute nei capitolati d’appalto tra l’Authority e i fornitori.

La decisione

Il Giudice ha revocato la descrizione provvisoriamente concessa inaudita altera parte e rigettato integralmente il ricorso, condannando la ricorrente al pagamento delle spese e di una somma a titolo di responsabilità aggravata.

Con riguardo alla presunta concorrenza sleale per storno di dipendenti, il Giudice ha osservato che, in principio, nel diritto UE il passaggio di lavoratori da un’impresa ad una concorrente rientra “nel quadro fisiologico della mobilità dei fattori della produzione, essenziale per il buon funzionamento di un mercato concorrenziale”; e che la mobilità dei lavoratori, e la correlativa capacità delle imprese di contendersi reciprocamente le risorse più appetibili sul mercato del lavoro, integrano libertà fondamentali.

In questa cornice, secondo il Giudice, la mobilità dei lavoratori può essere compressa, assumendo connotati di illiceità concorrenziale, solo in via eccezionale, in particolare “in presenza di una massiva campagna di reclutamento del personale addetto alle principali aree e funzioni aziendali dell’impresa rivale concentrata in un ristretto orizzonte temporale, priva di un vero razionale economico (in quanto diretta esclusivamente verso uno specifico rivale) e perciò sorretta univocamente da una strategia intenzionale di annientamento del concorrente finalizzata a rendere impossibile l’adempimento delle obbligazioni assunte con la clientela o addirittura a metterne a repentaglio la stessa continuità aziendale, attraverso lo svuotamento repentino dell’impresa dalla maggior parte dei suoi collaboratori”.

Di per sé, secondo il Giudice, l’assunzione di dipendenti altrui, quando anche finalizzata all’acquisizione di specifiche conoscenze tecniche e commerciali, non sarebbe sufficiente a integrare concorrenza sleale per storno di personale, nonostante il diverso orientamento di parte della giurisprudenza italiana “atteso che quell’opinione, sotto il velo della ‘correttezza professionale’ tra imprese finisce, in realtà, per restringere indebitamente il gioco concorrenziale, assecondando logiche protezionistiche (omissis)”.

Sulla scorta di queste premesse, il Giudice ha escluso che la vicenda al suo esame integrasse una fattispecie di concorrenza sleale per storno di personale. Egli ha, infatti, osservato nel merito che il trasferimento aveva interessato soli cinque dipendenti, su un totale di oltre cinquemila impiegati dalla ricorrente; che era avvenuto dopo l’aggiudicazione dell’appalto e il passaggio di consegne tra  precedente e nuova aggiudicataria; che era indimostrato  che gli ex dipendenti avessero competenze non facilmente sostituibili all’interno della organizzazione aziendale della ricorrente o attingendo al mercato del lavoro; che la disgregazione del team di specialisti dedicati dopo la fine del rapporto con l’ex cliente era da considerarsi un fatto fisiologico; che la stessa ricorrente nel corso del 2023 a sua volta aveva assunto dodici dipendenti della resistente principale; che gli ex dipendenti, dopo la perdita da parte della ricorrente dell’appalto a cui erano precedentemente dedicati – ma prima di essere assunti dalla resistente principale - erano stati applicati ad altri progetti e ad altri clienti.

Il Giudice ne ha tratto la conclusione che il trasferimento non avesse minato in alcun modo la capacità della ricorrente di fornire i suoi servizi alla ex cliente, né in costanza del rapporto contrattuale (che infatti era terminato regolarmente), né in relazione a future  commesse, rispetto alle quali la capacità di prestare in futuro i suoi servizi in modo competitivo sarebbe dipesa dalla sua attitudine a formare le risorse interne di cui già disponeva o ad attrarre nuove risorse qualificate. Ha dunque negato la richiesta inibitoria dalla prosecuzione dell’impiego dei dipendenti passati all’azienda resistente.

Sulla lamentata sottrazione di segreti commerciali la decisione di rigetto è stata ancora più recisa.

I resistenti avevano documentato che il capitolato delle gare di appalto dell’Authority prevedeva che tutti i diritti su quanto realizzato dall’appaltatore in esecuzione dell’appalto, inclusi software e altre opere dell’ingegno, nonché i materiali e la documentazione generati, spettassero all’Authority stessa e che tutto il know-how sviluppato, in caso di cambio di fornitore, dovesse essere trasferito al nuovo appaltatore.

Il Giudice aveva invitato la ricorrente a prendere posizione su tale circostanza e in particolare a individuare in modo specifico e analitico i segreti commerciali di sua titolarità, dotati dei requisiti di cui all’art. 98, comma 1, c.p.i., eventualmente diversi dal know-how e dalle informazioni cui i suoi ex dipendenti avevano avuto accesso in virtù dei rapporti con l’Authority e che le sarebbero stati sottratti dai resistenti.

La ricorrente aveva risposto che la copia massiva di file effettuata dagli ex dipendenti includeva necessariamente informazioni ulteriori rispetto a quelle spettanti all’Authority, che aveva provato ad elencare, e che il Giudice avrebbe dovuto, ai fini della conferma, modifica o revoca del provvedimento verificare prima il contenuto del materiale acquisito in sede di descrizione.

Il Giudice, tuttavia, ha rifiutato questa tesi.

Egli ha preliminarmente osservato che, in base alla lettera della legge, la descrizione industrialistica può essere concessa solo a favore del “titolare di un diritto di proprietà industriale”, ovvero, qualora si verta in tema di presunte informazioni riservate, di segreti contraddistinti dai requisiti indicati di cui all’art. 98 c.p.i.[1], mentre la misura non è estendibile alle informazioni genericamente confidenziali o riservate dell’imprenditore (che pure, sul piano sostanziale, sono astrattamente sono tutelabili in base alle norme sulla concorrenza sleale).

Ciò secondo il Giudice si traduce, dal punto di vista del fumus necessario alla concessione, e successiva conferma, della descrizione, nella necessità per la parte ricorrente di fornire quanto meno la prova della “verosimile titolarità” e della violazione di segreti commerciali in senso stretto.

Il Giudice ha ritenuto che, nel caso al suo esame, la ricorrente avesse omesso di fornire elementi idonei a dimostrare la verosimile titolarità di informazioni così qualificate e che ciò rendesse inutile esaminare nel merito quanto acquisito in sede di descrizione.

Più in particolare, ha ritenuto che l’ampiezza della clausola di riserva di tutti i diritti di proprietà intellettuale in favore dell’Authority nei rapporti coi fornitori fosse tale da abbracciare tutto il know-how maturato in occasione del rapporto della ricorrente con la stessa, e che, per le altre informazioni indicate dalla ricorrente come estranee a quel perimetro, non fosse stato raggiunto un sufficiente grado di verisimiglianza né rispetto alla loro ascrivibilità alla categoria dei segreti commerciali di cui agli artt. 98 e 99 c.p.i. né alla loro titolarità in capo alla ricorrente.

Il mancato riconoscimento del fumus della sottrazione di segreti commerciali ha indotto il Giudice non solo a revocare il decreto di descrizione emesso inaudita altera parte, ma anche a negare tutte le altre domande cautelari formulate con il ricorso e conseguenziali o comunque connesse alla paventata sottrazione di segreti commerciali.

Ma non basta. Il Giudice ha ritenuto che la condotta della ricorrente, che aveva chiesto l’emissione di provvedimenti cautelari inaudita altera parte tacendo un’informazione ritenuta essenziale e determinante (la clausola di riserva del patrimonio immateriale generato a favore dell’Authority), e aveva insistito in richieste ritenute infondate anche a seguito dell’emersione della circostanza, integrasse “un grave abuso del processo cautelare” cui dovesse conseguire la condanna per responsabilità aggravata ai sensi del comma 3 dell’art. 96 c.p.c.

Il Giudice ha rilevato a tal proposito che la condanna in questione prescinde dalla prova del danno e che può essere determinata equitativamente nell’ammontare, senza alcun prestabilito limite quantitativo, potendo essere calibrata anche sull'importo delle spese processuali (o su un loro multiplo) o sul valore della controversia, con l'unico limite della ragionevolezza.

Tenuto conto della gravità dell’abuso dell’azione cautelare e delle dimensioni e forza economica della ricorrente, ha così quantificato l’importo nel doppio delle spese di lite.

In conclusione, ha condannato la ricorrente a pagare a ciascuna delle controparti (in numero di 6) € 6.000 a titolo di spese di lite e € 12.000 a titolo di responsabilità aggravata, ed inoltre a pagare alla cassa delle ammende la somma di €5.000.

Val la pena rilevare che l’ordinanza qui commentata è reclamabile; lo scrivente non è al corrente dell’esito dell’eventuale giudizio di reclamo.

Considerazioni

L’aspetto più interessante dell’ordinanza qui commentata è nella sua deviazione da certa giurisprudenza, anche dello stesso Tribunale di Milano, circa i presupposti per la concessione e conferma della descrizione in tema di tutela dei segreti.

Vi sono, infatti, precedenti delle Sezioni specializzate per i quali il fumus della descrizione, in ragione della sua funzione principale - che è la salvaguardia della prova - è così attenuato che l’indagine circa l’effettiva sussistenza e titolarità dei segreti vantati deve essere demandata alla causa di merito: in sede di descrizione si valuterebbe solo l’astratta e ipotetica rilevanza delle prove acquisite, non la verosimile sussistenza del diritto. La verifica degli esiti della misura, in altre parole, avrebbe carattere meramente formale, limitata ad un vaglio esterno della tipologia dei documenti raccolti.

A parere di chi scrive, la tesi in diritto espressa in quest’ordinanza, a prescindere dalla sua sopravvivenza all’eventuale fase di reclamo e da ogni valutazione di merito, è la più corretta, se non altro perché quella “formalistica” si presta ad abusi, ovvero alla possibilità di ricorso allo strumento della descrizione anche da parte di soggetti consapevoli di non poter vantare la titolarità di segreti commerciali in senso stretto.

 


[1] 1. Costituiscono oggetto di tutela i segreti commerciali. Per segreti commerciali si intendono le informazioni aziendali e le esperienze tecnico-industriali, comprese quelle commerciali, soggette al legittimo controllo del detentore, ove tali informazioni:

a) siano segrete, nel senso che non siano nel loro insieme o nella precisa configurazione e combinazione dei loro elementi generalmente note o facilmente accessibili agli esperti ed agli operatori del settore;

b) abbiano valore economico in quanto segrete;

c) siano sottoposte, da parte delle persone al cui legittimo controllo sono soggette, a misure da ritenersi ragionevolmente adeguate a mantenerle segrete.

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