Stop a Uber Black: secondo il Tribunale di Roma la celebre app violerebbe la leale concorrenza
Con ordinanza dello scorso 7 aprile, il Tribunale di Roma ha inibito al gruppo Uber – dopo il precedente milanese riguardante Uber Pop – la possibilità di continuare a svolgere e pubblicizzare in Italia servizi di noleggio con conducente (“ncc”) attraverso l’app Uber Black, fissando una penale di € 10.000 per ogni giorno di eventuale ritardo nell’adempimento dell’inibitoria e disponendo la pubblicazione del provvedimento sul sito www.uber.com. L’ordinanza cautelare qui in commento, tuttavia, è attualmente inefficace, posto che lo stesso Tribunale, in data 14 aprile, ha accolto l’istanza con cui Uber ne ha chiesto la sospensione in attesa del giudizio di reclamo proposto dalla stessa Uber, che con ogni probabilità inizierà nel mese di maggio.
Il provvedimento in esame ha tratto origine da un ricorso proposto contro il gruppo Uber da diverse società, associazioni sindacali e di categoria di taxisti e autonoleggiatori che avevano sostanzialmente lamentato il fatto che Uber, attraverso Uber Black (e altre app analoghe ma differenti per via del tipo di veicolo utilizzato), stesse agendo in violazione della normativa pubblicistica in materia di trasporto pubblico non di linea, al punto da porre in essere illeciti concorrenziali nei loro confronti ai sensi dell’art. 2598 (3) c.c.
Il Tribunale di Roma ha ritenuto fondate le censure mosse dalle ricorrenti sulla base delle considerazioni di seguito descritte; da qui il provvedimento inibitorio.
In primo luogo, il Giudice ha stabilito che Uber – ritenuta direttamente responsabile in quanto non semplice mediatrice tra vettori e clienti, ma organizzazione “a scopo di lucro [che in concreto] esercita un servizio pubblico non di linea” – attraverso Uber Black offra i propri servizi in violazione della legge quadro n. 21 del 1992 in materia di servizi complementari ai servizi di trasporto pubblico di linea (ossia il servizio di taxi e di ncc). Questa, infatti, impone tra gli altri che: a) il servizio di ncc sia destinato a un’utenza specifica, previa richiesta alla sede del vettore di determinate prestazioni; b) i vettori ncc abbiano ottenuto la necessaria autorizzazione da parte del comune competente; e c) i veicoli usati dai vettori ncc stazionino in rimesse site nei comuni da cui è stata rilasciata detta autorizzazione, pur potendo i vettori, a seguito delle richieste dei clienti, prelevarli o lasciarli anche fuori da detti comuni. Ebbene, i vettori di Uber Black per il Tribunale, da un lato, sono in grado di intercettare clientela indifferenziata – ossia tutti gli utenti dell’app – e non solo quella che si trovi presso la rimessa autorizzata; dall’altro, operano stabilmente in comuni diversi da quelli di loro pertinenza, “interrompendo, di fatto, ogni legame con il territorio in relazione al quale era stata valutata la necessità del loro servizio”.
In secondo luogo, dopo aver ricordato che non ogni violazione di norme pubblicistiche costituisce di per sé un atto di concorrenza sleale, il Tribunale ha ritenuto che nel caso di specie la violazione accertata conferisca a Uber un indebito vantaggio tale da danneggiare i ricorrenti, pacificamente considerati suoi concorrenti.
Infatti, posto che la legge quadro mira a disciplinare il mercato dei servizi di trasporto non di linea “realizzando, nell’ambito di una programmazione territoriale, una [loro] maggiore razionalità ed efficienza”, costituisce indebito vantaggio il fatto che i vettori Uber Black possano accedere a una clientela indifferenziata, dunque più ampia di quella di loro pertinenza, “altrimenti non raggiungibile [se non] tramite modalità di esercizio del trasporto riservati al servizio taxi”. Oltretutto, i vettori Uber Black non sono tenuti a rispettare le tariffe predeterminate dalle amministrazioni comunali, offrendo formalmente servizi di ncc, e possono dunque proporre prezzi più competitivi rispetto a quelli offerti dai taxisti, invece tenuti all’adozione delle sopramenzionate tariffe. Secondo il Tribunale, quindi, così facendo, Uber realizza uno sviamento di clientela a danno dei ricorrenti che offrono servizi di taxi o ncc in conformità alla normativa applicabile.
Il Tribunale di Roma non ha invece ritenuto meritevoli di accoglimento le difese avanzate da Uber, tra cui la contestazione della presunta contrarietà della legge quadro, da un lato, al Trattato sul funzionamento dell’Unione europea e, dall’altro, all’art. 41 della Costituzione. Infatti, con riferimento alla prima, la legge quadro non è stata ritenuta “idonea a limitare la produzione, gli sbocchi o lo sviluppo tecnico, a danno dei consumatori (art. 102 TUEF), in quanto non impedisce di per sé l’utilizzazione delle nuove tecnologie, quale può essere una app, per il servizio ncc, ben potendo utilizzarsi la nuova tecnologia in modo rispettoso della normativa pubblica disciplinante il servizio”; con riferimento alla seconda contestazione, è stato evidenziato come l’art. 41 della Costituzione preveda espressamente la possibilità di determinare per legge ordinaria “i programmi ed i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali”, cosa che effettivamente farebbe la legge quadro discussa.