Software ideato dal lavoratore autonomo: a chi spetta la titolarità?

Con un recente provvedimento pubblicato lo scorso 15 gennaio (sentenza n. 96/2020), il Tribunale di Bologna ha riconosciuto in capo ad una società la titolarità di un software ideato da un collaboratore esterno della stessa, riconoscendo inoltre a questa il diritto al risarcimento dei danni connessi alla mancata consegna dei codici sorgente al termine del rapporto. La vicenda viene brevemente riassunta di seguito.

Nel 2012, la società cooperativa Sacmi Cooperativa Meccanici Imola aveva stipulato con un collaboratore esterno (vale a dire, non un dipendente dell’azienda) un contratto avente ad oggetto lo sviluppo di un software in grado di supportare e sviluppare tutte le attività aziendali delle società del gruppo Sacmi. Mediante il contratto, le parti avevano stabilito che Sacmi sarebbe stata titolare di “tutti i diritti di proprietà intellettuale e/o industriale relativi ad eventuali risultati derivanti o comunque connessi allo svolgimento dei Servizi” (art. 4 del contratto). Tuttavia, al termine del rapporto, il collaboratore aveva consegnato alla società i soli codici oggetto del software sviluppato, mentre si era rifiutato di consegnare relativi i codici sorgente, ritenendoli di propria titolarità.

Per ottenere la consegna dei codici sorgente, previo riconoscimento della titolarità degli stessi in capo alla società, Sacmi aveva quindi citato in giudizio l’ex collaboratore, chiedendo inoltre di essere risarcita dei danni da mancata consegna degli stessi, che quantificava in Euro 150.000, tenuto conto degli importi che si era vista costretta a corrispondere ai vari tecnici informatici coinvolti per fronteggiare tutte le problematiche connesse al software, nonché al personale interno per l’inserimento manuale dei dati altrimenti acquisiti dal software stesso. Secondo Sacmi, infatti, poiché il software – che costituisce “opera” ai sensi del diritto d’autore – era stato sviluppato nell’ambito dell’incarico appositamente conferito al collaboratore, tutti i diritti sull’opera spettavano alla società, anche in forza dell’art. 4 del contratto stesso.

Costituitosi in giudizio, l’ex collaboratore aveva invece sostenuto che la paternità dei codici sorgente ed i relativi diritti di sfruttamento economico gli spettassero in qualità di autore dell’opera, in forza del principio generale di cui all’art. 12 L. 633/1941 (legge sul diritto d’autore, LDA). In altri termini, trattandosi di opera realizzata nell’ambito di un rapporto di lavoro autonomo, non avrebbe trovato applicazione la norma speciale di cui all’art. 12-bis LDA, secondo cui il diritto esclusivo di utilizzazione economica di un software creato dal dipendente “nell’esecuzione delle sue mansioni o su istruzioni impartite dallo stesso datore di lavoro” spetta al datore di lavoro/committente. In ogni caso, secondo il convenuto, in forza dell’art. 4 del citato contratto Sacmi era cessionaria dei soli risultati fruibili in linguaggio macchina (ovvero, il codice oggetto, che era stato appunto consegnato a differenza del codice sorgente), e in tal senso deponevano anche l’importo del compenso, proporzionato all’attività inventiva prestata ma non alla cessione dei diritti sull’opera, e la natura consulenziale della collaborazione. Infine, quanto al danno, il convenuto sosteneva che Sacmi avrebbe potuto risolvere diversamente gli inconvenienti riscontrati, eccependo inoltre la compensazione di tali somme con il proprio credito (pari a circa 30.000 euro) per l’attività inventiva svolta.

Con la decisione in esame, il Tribunale di Bologna ha parzialmente accolto le richieste dell’attrice, osservando che il contratto stipulato tra le parti aveva ad oggetto la realizzazione di un’opera creativa tutelata dal diritto d’autore, quale è un software (senza distinzione tra codice oggetto e sorgente). Il Giudice ha quindi naturalmente ricordato che, di norma, i diritti di utilizzazione economica di un’opera spettano al relativo autore in forza dell’art. 12 LDA, così come i diritti sull’invenzione spettano all’inventore ai sensi dell’art. 63 del Codice della Proprietà Industriale. Tuttavia, tali norme trovano eccezione, rispettivamente, nel già citato art. 12-bis LDA, e nell’art. 64 CPI che (analogamente) prevede che i diritti di sfruttamento dell’invenzione del dipendente sorgono in capo al datore di lavoro, quando l’oggetto del contratto è proprio l’attività inventiva, che viene a tale scopo retribuita. In sostanza, dunque, gli artt. 12-bis LDA e 64 CPI introducono delle eccezioni alla regola generale della titolarità in capo all’autore/inventore, stabilendo che, se l’opera/invenzione nasce nell’ambito di un rapporto di lavoro subordinato, i relativi diritti economici appartengono al datore di lavoro.

Vero è, ha rilevato il Giudice, che il caso di specie non riguardava un rapporto di lavoro subordinato, bensì una prestazione di lavoro autonomo. Tuttavia, in fattispecie simili a quella oggetto di lite, la giurisprudenza aveva, in alcuni casi, applicato in via analogica la disciplina dell’invenzione del lavoratore subordinato, mentre, in altri casi, aveva affermato la titolarità dei diritti in capo al committente ritenendola conseguenza del contratto d’opera: in altre parole il committente, commissionando l’opera, la acquista a titolo originario. Conferma della bontà di tali interpretazioni è stata rinvenuta dal Giudice in alcune norme di diritto del lavoro: la normativa ormai abrogata sul contratto a progetto (art. 64 L. Biagi) rinviava espressamente all’art. 12-bis LDA, mentre, attualmente, il Jobs Act (L. 81/2017) – benché inapplicabile ratione temporis al caso di specie – stabilisce all’art. 4 che i diritti di utilizzazione economica relativi ad apporti originali ed a invenzioni realizzate nell’esecuzione del contratto spettano sì, secondo la regola generale, al lavoratore autonomo, ma non nel caso in cui l’attività inventiva sia prevista come oggetto del contratto e a tale scopo remunerata (secondo la regola del contratto d’opera), nel qual caso la titolarità spetta al committente.  

In conclusione, il Tribunale di Bologna ha affermato il seguente principio: “nel caso di attività inventivo-creativa del lavoratore autonomo, per regola generale i diritti di utilizzazione economica dell’invenzione/opera dell’ingegno spettano al committente se oggetto del contratto è l’attività inventiva/creativa e salvo patto contrario. Va pertanto disattesa la prospettazione, inversa, del convenuto secondo cui in materia di software creato dal lavoratore autonomo, non espressamente disciplinato dalla normativa autoriale, andrebbe applicata la regola generale della titolarità originaria ed esclusiva dei diritti di utilizzazione economica in capo all’autore (ex art. 12 L.A.) salvo diversa previsione negoziale”.

In conclusione, il Giudice ha quindi riconosciuto la titolarità dei diritti sul software in capo a Sacmi, posto per l’appunto che il contratto tra le parti aveva ad oggetto l’attività creativa e che esso conteneva un espresso riconoscimento dell’appartenenza di tutti diritti di proprietà intellettuale in capo alla committente. In tale contesto, nulla consentiva di limitare la portata della previsione al codice oggetto, escludendovi il codice sorgente come avrebbe voluto il convenuto.

Quanto al profilo risarcitorio, il Giudice ha infine ritenuto presuntivamente provata l’esistenza del danno derivante dall’indisponibilità dei codici sorgente, ma – ritenendo tale danno di difficile quantificazione – l’ha equitativamente liquidato in una somma corrispondente al credito vantato dal convenuto, compensando così integralmente le richieste delle parti sul punto.

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