Lotto vs. Max Mara: la riproduzione di un marchio figurativo all’interno di una fantasia grafica complessa non costituisce contraffazione
Lo scorso 3 novembre la Cassazione si è pronunciata in materia di contraffazione di un marchio figurativo riprodotto da terzi all’interno di una texture grafica complessa, impiegata a scopo ornamentale. Nello specifico, la Suprema Corte ha rigettato un ricorso avverso una sentenza del 2007 con cui la Corte d’appello di Torino – confermando la precedente decisione del giudice di prime cure – aveva escluso la confondibilità tra un marchio italiano figurativo di titolarità della Lotto Sport Italia S.p.A. (costituito dalla nota doppia losanga) e un segno asseritamente identico riprodotto in serie all’interno di un fregio grafico presente sulla superficie di alcuni capi di abbigliamento e borse firmati Max&Co., marchio di proprietà del gruppo Max Mara.
Il ricorso proposto dalla Lotto si basava, inter alia, su tre fondamentali censure: i) la Corte d’appello avrebbe erroneamente condotto il giudizio di confondibilità in via analitica e non – come invece doveroso – in via sintetica e unitaria, poiché, pur in presenza di elementi visivi e grafici qualificanti sostanzialmente corrispondenti, aveva escluso la confondibilità tra i segni a confronto; ii) ancora, la Corte avrebbe dovuto valutare in astratto – e non in concreto – il rischio di confusione tra i segni, dovendo quindi riconoscere l’(asseritamente) oggettiva somiglianza tra gli stessi e l’affinità tra i prodotti interessati; iii) infine, avrebbe erroneamente omesso di applicare il principio di diritto secondo cui, ai fini del giudizio sulla confondibilità, in presenza di un marchio forte – quale era stato riconosciuto il marchio Lotto – sono irrilevanti variazioni, anche consistenti, nel segno in presunta contraffazione se il nucleo ideologico essenziale del marchio è stato invece riprodotto.
Come anticipato, la Corte di legittimità ha ritenuto infondati tutti i motivi di ricorso formulati dalla ricorrente per le ragioni che seguono.
Con riferimento ai primi due motivi ha, infatti, stabilito che – contrariamente a quanto sostenuto dalla Lotto – la valutazione circa la confondibilità tra i segni, “che richiede necessariamente un’indagine non astratta”, fosse avvenuta del tutto correttamente, in quanto la Corte d’appello aveva esaminato gli elementi grafici salienti propri di entrambi i segni da un punto di vista globale e non analitico, tenendo conto dell’impressione generale suscitata da questi agli occhi del consumatore medio di riferimento.
Ha, inoltre, ritenuto “ragionevole” la valutazione di fatto compiuta dai Giudici del merito – comunque non sindacabile in sede di legittimità – consistente nell’esclusione della confondibilità tra i segni, sulla base del fatto che “la riproduzione dell’elemento grafico del marchio Lotto, costituito da una doppia losanga, non fosse sufficiente a fare ritenere esistente un effettivo rischio di associazione idoneo a ingenerare una significativa e rilevante confusione presso i consumatori”; ciò dal momento che tale elemento grafico “era solo uno tra i vari elementi costitutivi del segno della convenuta Max Mara, che si caratterizzava anche (e non solo) per la ripetizione in serie del fregio in tutta la superficie del prodotto, nell’ambito di una fantasia grafica complessa chiaramente distinguibile dal marchio Lotto”.
Quanto al terzo motivo, la Suprema Corte ha poi evidenziato come la Corte d’appello si sia in vero mostrata consapevole del principio di diritto richiamato dalla Lotto, ma che, tuttavia, non abbia ritenuto opportuno applicarlo, atteso che non era stata riconosciuta l’esistenza, nel marchio Max Mara, del nucleo ideologico del marchio Lotto in quanto “ … rappresentato da una fantasia grafica originale per il complesso articolarsi dei differenti elementi geometrici”, come tale “idonea ad escludere la confondibilità agli occhi del consumatore medio”.