La tutela d’urgenza della banca dati non creativa: una recente pronuncia del Tribunale delle Imprese di Roma.

La Sezione Imprese del Tribunale di Roma ha di recente emesso un’interessante ordinanza cautelare sulla tutela che la Legge sul diritto d’autore (LDA) riserva al costitutore di una banca dati non creativa.

Una società specializzata nella pubblicazione online di aste giudiziali, consultabili con apposito motore di ricerca – attività regolamentata e soggetta ad autorizzazione – aveva depositato un ricorso urgente per inibitoria contro una società romana di consulenza immobiliare, che ripubblicava sul proprio sito e su portali di terzi documenti e fotografie provenienti dall’archivio online della prima, senza averne ottenuto il preventivo consenso.

La ricorrente riteneva che la raccolta e lavorazione dei contenuti relativi alle diverse aste e la loro organizzazione in archivio ordinato e consultabile facesse di quest’ultimo una banca dati non creativa, che l’ordinamento italiano (ed europeo) tutela dall’uso altrui non autorizzato in quanto frutto di investimento di capitali e risorse.  

La società resistente aveva dapprima scaricato contenuti reperibili nel sito web della prima per poi, ritoccandoli (maldestramente) nel tentativo di camuffare il watermark apposto dalla titolare sui documenti, caricarli sul proprio sito e su diversi portali, costituendo una banca dati parallela a sua volta esplorabile con motore di ricerca. Secondo la ricorrente, quest’attività costituita illecita utilizzazione della propria banca dati.

Il Tribunale di Roma, accogliendo le tesi della ricorrente, ha ritenuto la condotta della resistente illecita sotto il duplice profilo della violazione di banca dati e della concorrenza sleale.

In particolare, il Giudice capitolino, premesso di ravvisare nell’archivio online della ricorrente una banca dati tutelabile, in quanto frutto di investimenti di risorse finanziarie, tecniche e umane, ha rilevato che l’art. 102 bis LDA al  9° comma, prevede che “non sono consentiti l’estrazione o il reimpiego ripetuti e sistematici di parti non sostanziali del contenuto della banca di dati qualora presuppongano operazioni contrarie alla normale gestione della banca di dati o arrechino un pregiudizio ingiustificato al costitutore della banca di dati”.

Il coordinamento di questa norma con quella del comma 3° dello stesso articolo e del comma 3° del successivo articolo 102 ter, secondo consolidata giurisprudenza proprio del Tribunale di Roma, implica che l’estrazione e reimpiego di informazioni provenienti da una banca dati altrui disponibile al pubblico sia legittima solo nella misura in cui non comporti un riutilizzo dei dati massiccio nelle dimensioni ovvero, comunque, illecito negli effetti.

Ed era proprio quest’ultimo, secondo il Giudice capitolino, il caso sottopostogli: la società resistente si era appropriata in modo sistematico e continuativo di elementi tratti da una banca dati altrui al fine di svolgere attività in concorrenza con quella svolta dalla titolare della banca dati, arrecando a quest’ultima un ingiustificato pregiudizio.

In particolare, secondo il Tribunale, l’utilizzazione da parte della resistente di documenti direttamente estratti ed elaborati dalla società ricorrente provocherebbe un effetto perturbativo del mercato e della concorrenza “in quanto, nello specifico e identico settore di mercato, determina effetti confusori ai sensi dell’art. 2598 c.c. ingenerando nell’utente la falsa convinzione che i due siti siano riconducibili al medesimo soggetto giuridico ovvero a partner di  mercato e riversa inoltre sulla sola società ricorrente i costi di elaborazione delle immagini e di aggregazione dei dati pubblicati, consentendo quindi alla società oggi ingiunta di operare nel mercato concorrenziale traendo un illegittimo beneficio dall’opera svolta dal diretto concorrente e consentendole quindi di operare con costi minori e quindi con margini di profitto più ampi.

In altre parole, secondo il Giudice, oltre al profilo dell’appropriazione dei risultati degli investimenti del concorrente, la condotta della società resistente, data la residua visibilità del watermark della titolare della banca dati sui documenti ripresi, generava anche un pregiudizievole effetto confusorio nell’utenza.

Il Tribunale ha anche citato a supporto della propria decisione la giurisprudenza comunitaria nel caso Innoweb (C-202/12), in cui la Corte di Giustizia ha fornito un’interpretazione estensiva del concetto di “reimpiego”, chiarendo che tali concetti si riferiscono a qualsiasi atto consistente nell’appropriazione e nella messa a disposizione del pubblico, senza il consenso del costitutore della banca di dati, dei risultati del suo investimento, privando così quest’ultimo di redditi che dovrebbero consentirgli di ammortizzare il costo di tale investimento.

La resistente, a sua difesa, aveva eccepito la diversità degli ambiti imprenditoriali di operatività delle due società: settore privato per essa, pubblico per la ricorrente.

Il Giudice, tuttavia, ha ritenuto sussistere un rapporto di concorrenza quanto meno potenziale, rilevando come entrambe le società operassero nel più ampio mercato delle aste immobiliari e come ciascuna avrebbe potuto agevolmente inserirsi nel settore dell’altra.

Con riguardo alla sussistenza del periculum necessario per la concessione di provvedimenti d’urgenza, il Tribunale ha aderito alla tesi per la quale la violazione della libera concorrenza nel mercato, specialmente se caratterizzata dalla lesione di beni tutelati da diritti della proprietà intellettuale, causa una “non facilmente emendabile alterazione del mercato di riferimento e della concorrenza in generale, mediante il rafforzamento di soggetti che operano illecitamente sul mercato con mezzi fraudolenti”; ragion per cui il pericolo è in tali casi in re ipsa e quindi è “sempre consentita l’emanazione di provvedimenti interruttivi dell’illecito in corso”.

In conclusione, il Tribunale di Roma con ordinanza cautelare ha ingiunto alla società resistente di rimuovere dal web tutti i documenti estratti dalla banca dati violata e le ha inibito di ripetere in futuro l’illecito, condannandola inoltre a rifondere le spese di lite.

Il provvedimento non risulta oggetto di reclamo.

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