La scritta “Falso d’autore” non esclude la contraffazione di marchio, precisa la Cassazione

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 15080/2012 pubblicata lo scorso 19 aprile, ha ribadito – seguendo un indirizzo già espresso in passato – che l’apposizione della scritta “falso d’autore” su prodotti industriali recanti marchi contraffatti non esclude l’integrazione del reato di cui all’art. 474 c.p. (che punisce “chiunque introduce nel territorio dello Stato, al fine di trarne profitto, prodotti industriali con marchi o altri segni distintivi, nazionali o esteri, contraffatti o alterati”).

La pronuncia prende le mosse da un caso di commercializzazione di profumi con marchi contraffatti recanti per l’appunto la scritta in questione. Il soggetto che li commercializzava si era difeso affermando che la presenza di tale scritta sarebbe stata idonea ad evitare la lesione della fede pubblica tutelata dall’art. 474 c.p., reato espressamente disciplinato nel codice penale nell’ambito dei “delitti contro la fede pubblica”, e quindi ad escludere la commissione del reato. (…)

Tale difesa era stata accolta in primo grado dal Tribunale di Palermo secondo il quale il falso, proprio perché dichiarato, non determinava sviamento della libera determinazione del compratore e della fede pubblica. Conclusione ribaltata in appello, con decisione (poi confermata da quella qui in esame) in cui i prodotti oggetto del giudizio sono stati invece ritenuti idonei a ingannare il consumatore, essendo del tutto irrilevante che su di essi fosse stata apposta una scritta che li informava dell’effettiva non originalità della merce.

Il reato, precisa la Suprema Corte nel rigettare l’impugnazione, configura infatti “una fattispecie di pericolo contro la fede pubblica per la cui integrazione è sufficiente anche la sola attitudine della falsificazione ad ingenerare confusione, con riferimento non solo al momento dell’acquisto, ma anche a quello della successiva utilizzazione del prodotto contraddistinto dal marchio contraffatto. Di qui consegue anche che non può parlarsi di reato impossibile là dove la contraffazione sia grossolana o anche ove le condizioni di vendita – per il prezzo praticato, il luogo di esposizione, le caratteristiche personali del venditore – siano tali da escludere la possibilità ragionevole che i clienti vengano tratti in inganno”.

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