La forma del Royal Oak di Audermars Piguet non è tutelabile come marchio, dice il Tribunale di Milano

(Pubblicato anche su Diritto 24 – Il Sole 24 Ore)

Il Tribunale di Milano (Sezione Specializzata in materia di Impresa “A”) si è recentemente espresso in via cautelare sulla tutelabilità della forma di un prodotto come marchio e contro l’imitazione servile (ordinanza 12 marzo 2015 in R.G. 7639/2015). Abbiamo parlato di questioni analoghe qui, qui e qui in questo blog.

Oggetto della pronuncia è stato in questo caso il noto orologio di altissima gamma “Royal Oak” creato nel 1972 dall’azienda svizzera Audermars Piguet: quest’ultima, che tuttora lo commercializza, aveva registrato come marchio internazionale figurativo la forma della relativa lunetta, e lamentava la contraffazione di marchio e la concorrenza sleale per imitazione servile da parte degli orologi commercializzati dalla start-up milanese D One s.r.l. Di seguito le riproduzioni del prodotto di Audemars Piguet, del relativo marchio internazionale figurativo registrato e dell’orologio di D One in contestazione:

Su ricorso d’urgenza depositato a febbraio dall’azienda svizzera, il Tribunale aveva inizialmente inibito – con provvedimento reso inaudita altera parte – la commercializzazione dei prodotti di D One. Una volta che quest’ultima si è costituita in giudizio e ha esposto le proprie difese, tuttavia, il Giudice adito ha ribaltato la propria decisione iniziale e rigettato il ricorso di Audermars Piguet ritenendo che non vi fossero elementi sufficienti a integrare il “fumus boni iuris” necessario per l’accoglimento delle domande cautelari (inibitoria con penale, sequestro e pubblicazione dell’ordinanza).

In estrema sintesi, il provvedimento ha concluso che “sussistono numerosi elementi di dubbio sulla validità del marchio azionato”, come testimoniato dal fatto che la sua registrazione come marchio comunitario sia stata negata dall’ufficio competente (UAMI). In particolare, secondo il Tribunale:
i)                    poiché tale marchio consiste in un “disegno geometrico semplice”, “dall’aspetto incompiuto” e “ormai abbastanza comune negli orologi”, esso sembra privo di capacità distintiva, ovvero della capacità di “distinguere i prodotti rispetto a quelli di un altro fabbricante e, dunque, svolgere la funzione di identificazione dell’origine imprenditoriale del prodotto”;
ii)                   il segno non sembra nemmeno avere acquisito capacità distintiva attraverso l’uso (c.d. “secondary meaning”), “non essendo stato documentato un utilizzo uniforme” del segno medesimo;
iii)                 la registrazione della forma in questione come marchio non sembra nemmeno compatibile con il dettato dell’art. 9 CPI, secondo il quale “non possono costituire oggetto di registrazione come marchio d’impresa i segni costituiti esclusivamente … dalla forma che dà un valore sostanziale al prodotto”. In merito, il Tribunale ritiene infatti che la forma in questione conferisca al prodotto “un particolare valore di mercato, identificandosi nel design del prodotto e traducendosi in un elemento che svolge un ruolo importante nell’orientare la scelta del consumatore, aumentandone la forza attrattiva”, ciò che la renderebbe non registrabile come marchio (in conformità con quanto affermato dal Tribunale UE in relazione all’altoparlante di Bang & Olufsen in T-508/08, di cui abbiamo parlato qui in questo blog).

In punto di concorrenza sleale, il Giudice ha invece precisato preliminarmente che essa non è esclusa dai diversi mercati su cui vengono venduti i due orologi (quello di Audermars Piguet un “prodotto di altissima qualità, un vero gioiello commercializzato a circa € 20.000”, e quello di D One un “orologio sportivo dal prezzo di € 150 circa”): “occorre tenere infatti in conto le potenzialità espansive della concorrente leale la quale potrebbe decidere di estendere la propria produzione a linee di prodotto a fascia più bassa, riversando nel segmento di prezzo più contenuto il proprio accreditamento sul mercato”. Né la concorrenza sleale è esclusa dalla “notevole differenza di materiale e di prezzo al pubblico”.

Il Tribunale ha tuttavia poi ricordato che, per integrare l’illecito di concorrenza sleale ex art. 2598 co. 1 n. 1 c.c., l’imitazione servile del prodotto altrui deve “investire caratteristiche del tutto inessenziali rispetto alla funzione che sono destinate ad assolvere”, ovvero quelle caratteristiche “arbitrarie e capricciose” e “nuove rispetto al già noto” che conferiscono originalità al prodotto e hanno capacità distintiva, così che il pubblico è portato a ricondurle all’impresa da cui il prodotto origina: solo quando riguarda queste caratteristiche, l’imitazione servile investe “elementi idonei ad ingenerare confusione nel pubblico” e integra quindi concorrenza sleale confusoria. Nel caso di specie, il Giudice non ha ravvisato la sussistenza di una simile imitazione, affermando sostanzialmente – sulla scorta di quanto rilevato in punto di contraffazione di marchio – che le forme imitate sarebbero “strutturali del prodotto e non distintive”, nonché in alcuni casi “ormai acquisite al gusto collettivo, avendo subito una certa standardizzazione”, e che comunque vi sarebbero “significative differenze” tra i due prodotti.

Una nota finale in merito ai tempi del giudizio: dal deposito del ricorso all’emanazione dell’ordine di inibitoria inaudita altera parte sono trascorsi 7 giorni; e 30 giorni in tutto sono occorsi per arrivare alla decisione finale sul ricorso. Questo attesta l’efficienza e la rapidità delle nostre Sezioni Specializzate in materia di Impresa (e in particolare di quella milanese), in grado di assicurare tutela in tempi perfettamente comparabili a quelli dei principali tribunali internazionali.

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