La Cassazione ribadisce: Fiorucci non può utilizzare il proprio patronimico come marchio
Con sentenza n. 10298/2020, la Corte di Cassazione ha ribadito che l’uso in funzione di marchio del patronimico “Fiorucci” da parte del sig. Elio Fiorucci è illegittimo, ripetendo quanto già espresso nella sentenza n. 10826/2016 pronunciata nei confronti dello stesso Fiorucci e di Edwin Company Ltd su questione sostanzialmente identica in fatto e in diritto (si veda il relativo commento qui su questo blog).
La pronuncia si inserisce nel contesto della nota vicenda giudiziaria che in passato ha visto più volte contrapporsi, da un lato, la società Love Therapy S.r.l. e lo stilista Elio Fiorucci, creatore dell’omonimo marchio, e dall’altro lato, la società Fiorucci Design Office S.r.l. (“FDO”), licenziataria esclusiva del marchio “Fiorucci” su licenza della Edwin Company Ltd, a cui il marchio Fiorucci era stato ceduto negli anni ‘90. Il caso in commento, nello specifico, ha avuto origine nel 2007, quando FDO si era avveduta dell’immissione in commercio da parte di Love Therapy di una edizione limitata di prodotti, realizzata in collaborazione con il sig. Fiorucci, con il marchio “Love Therapy by Elio Fiorucci”. In qualità di licenziataria del marchio “Fiorucci”, FDO aveva quindi citato in giudizio la predetta società e il sig. Fiorucci per veder accertato l’uso illegittimo del marchio in questione.
Il Tribunale di Milano aveva inizialmente accolto la domanda di FDO. Tale decisione, tuttavia, era stata ribaltata in secondo grado, dove si era ritenuto che l’uso del marchio “Love Therapy by Elio Fiorucci” fosse legittimo. La Corte d’appello, infatti, aveva rilevato che la Edwin Company Ltd. aveva a suo tempo acquisito i diritti sul segno “Fiorucci” non dal sig. Fiorucci in proprio, bensì dal liquidatore della procedura di concordato preventivo della Fiorucci S.p.a. Di conseguenza, la Corte d’appello aveva osservato che, stante il carattere personale del diritto al nome, il liquidatore non aveva potuto disporre del marchio “Fiorucci” con gli stessi margini con cui avrebbe potuto disporne il sig. Fiorucci stesso, e dunque l’attività svolta da Love Therapy e dal sig. Elio Fiorucci, avente ad oggetto il patronimico e non il marchio ceduto, non era contraria alla correttezza professionale e non generava effetti confusori.
Avverso tale sentenza, FDO aveva proposto ricorso in Cassazione, sostenendo che la Corte d’Appello non aveva considerato che l’utilizzo di un patronimico coincidente con il marchio licenziato generava un indebito vantaggio a favore di Elio Fiorucci e di Love Therapy e un significativo pericolo di confusione per il consumatore. Né, peraltro, l’uso del segno contestato avrebbe potuto ritenersi giustificato alla luce dell’art. 21 CPI, in quanto effettuato in funzione distintiva anziché meramente descrittiva, ed in modo tale da determinare un indebito agganciamento e sfruttamento della rinomanza del marchio licenziato. Infine, la ricorrente aveva sottolineato che, sebbene ex art. 21 co. 1 lett. a) CPI un soggetto possa utilizzare il proprio patronimico coincidente con l’altrui marchio nell’ambito della propria attività professionale, tale possibilità non si estende ai terzi (quale Love Therapy) e riguarda in ogni caso ipotesi di omonimia tra il titolare del patronimico e il titolare del marchio, non invece il caso di chi, come il Fiorucci, aveva ceduto a terzi un marchio contente il proprio patronimico.
Pronunciandosi sul ricorso proposto, la Cassazione ha ricordato che un segno distintivo costituito da un nome anagrafico validamente registrato come marchio ha, di norma, carattere forte e non può essere adottato in settori merceologici identici o affini, né come marchio, né come denominazione sociale, nemmeno se tale utilizzo è fatto dalla persona che legittimamente porta quel nome. Ciò perché “il diritto al nome trova, se non una vera e propria elisione, una sicura compressione nell’ambito dell’attività economica e commerciale, ove esso sia divenuto oggetto di registrazione, prima, e di notorietà, poi, ad opera dello stesso titolare che l’abbia poi ceduto ad altri”. D’altra parte, l’art. 21 CPI legittima l’uso di un patronimico corrispondente ad un marchio altrui solo nei limiti in cui tale uso sia conforme ai principi di correttezza professionale, ciò che avviene quando il patronimico è sfruttato in funzione meramente descrittiva e non determina un agganciamento all’altrui marchio dotato di notorietà, come nel caso di specie.
Pertanto, richiamando il principio già affermato nella sentenza del 2016 sopra menzionata, la Suprema Corte ha ribadito che “l’inserimento, nel marchio, di un patronimico coincidente con il nome della persona che in precedenza l’abbia incluso in un marchio registrato, divenuto celebre, e poi l’abbia ceduto a terzi, non è conforme alla correttezza professionale se non sia giustificato, in un ambito strettamente delimitato, dalla sussistenza di una reale esigenza descrittiva inerente all’attività, ai prodotti o ai servizi offerti dalla persona che ha certo il diritto di svolgere una propria attività economica ed intellettuale o creativa ma senza trasformare la stessa in un’attività parallela a quella per la quale il marchio anteriore sia non solo stato registrato ma abbia anche svolto una rilevante sua funzione distintiva”.
La Cassazione ha quindi accolto il ricorso, accertando l’uso illegittimo del segno “Love Therapy by Elio Fiorucci” da parte dei due resistenti e rinviando la causa al giudice di merito per un nuovo (ennesimo) giudizio.