La Cassazione si pronuncia sul diritto di preuso del procedimento brevettato (e conferma un risarcimento da € 7 milioni)
La Corte di Cassazione si è recentemente pronunciata, con sentenza n. 5497/2012 del 5 aprile scorso, in tema di diritti di preuso su un’invenzione brevettata, confermando un risarcimento milionario in favore della titolare di due brevetti in ambito farmaceutico. La vertenza vedeva contrapposte la Chemi s.p.A. e la Fidia Farmaceutici S.p.A., quest’ultima accusata di violare dei brevetti Chemi relativi al procedimento per la produzione ed il trattamento della fosfatidilserina. Fidia si difendeva affermando – e chiedendo al Giudice di accertare – che i brevetti in questione erano in realtà nulli, e opponendo in ogni caso un suo diritto di preuso sul procedimento brevettato.
Con sentenza n. 3003/2007 il Tribunale di Milano, Sezione Specializzata in Proprietà Intellettuale, a seguito dell’espletamento di consulenza tecnica, aveva dichiarato validi i brevetti di Chemi e ne aveva accertato la contraffazione da parte di Fidia, alla quale aveva però riconosciuto un limitato diritto di preuso che le consentiva di continuare a produrre e commercializare la sola fosfatidilserina 50 nella quantità di circa 7.000 kg annui. Fidia era stata quindi condannata a pagare un risarcimento di circa 4,6 milioni di euro nei confronti di Chemi, oltre ad interessi ed al risarcimento delle spese legali sostenute da Chemi. (…)
La pronuncia di primo grado era stata appellata da Fidia; ma la Corte di Appello di Milano con sentenza n. 3299/2010 aveva emanato una decisione ancora più favorevole a Chemi: il diritti di preuso di Fidia veniva accertato limitatamente alla quantità di circa 2.300 kg l’annno (anzichè 7.000 kg), ed il risarcimento a cui Fidia era tenuta veniva di conseguenza portato a circa € 6,9 milioni più interessi e spese legali anche del grado di appello.
La Corte di Cassazione, investita del giudizio da Fidia che lamentava un’erronea applicazione della legge da parte dei giudici di merito, ha quindi emanato la decisione in commento, con cui si è soffermata sul tema del preuso dell’invenzione brevettata sancito dall’art. 68 co. 3 Codice della Proprietà intellettuale (CPI), che recita: “chiunque, nel corso dei 12 mesi anteriori alla data di deposito della domanda di brevetto o alla data di priorità, abbia fatto uso nella propri a azienda della invenzione può continuare ad usarne nei limiti del preuso. Tale facoltà è trasferibile soltanto insieme all’azienda in cui l’invenzione viene utilizzata. La prova del preuso e della sua estensione è a carico del preutente“.
Tale norma, chiarisce la Corte, attribuisce al c.d. “preutente” il “diritto di continuare ad usare il procedimento che per primo ha adoperato, commisurando la sua facoltà di uso all’anno antecedente” al deposito del primo brevetto altrui che copra il procedimento in questione. Ciò che conta ai fini della determinazione dei limiti del preuso, precisa poi la Corte, è la quantità di prodotto concretamente prodotta dal preutente, e non quella commercializzata all’esterno: “la norma, nell’individuare come parametro dei limiti del preuso quello dell’uso endoaziendale, prescinde dall’esito commerciale del prodotto di quell’uso“.