La Cassazione Penale nega tutela ex art. 473 c.p. al marchio non registrato
La Corte di Cassazione Penale, con sentenza n. 25273 dello scorso 26 giugno, ha negato tutela penale ex art. 473 c.p. ad un marchio non registrato, affermando che tale tutela richiederebbe la previa registrazione del marchio. Tale conclusione è difforme da quelle della più recente giurisprudenza penale e diametralmente opposta rispetto alle decisioni unanimi della giurisprudenza civile, posto che sia Giudici specializzati delle Sezioni Specializzate in Proprietà Intellettuale di Tribunali e Corti d’Appello civili, sia la Corte di Cassazione Civile riconoscono tutela ai marchi non registrati in conformità con quanto previsto dal Codice della Proprietà Intellettuale (D. Lgs. 30/2005).
Il caso giunto all’esame della Suprema Corte penale riguardava la contraffazione, sanzionata ex. art. 473 c.p. (“Contraffazione, alterazione o uso di segni distintivi di opere dell’ingegno o di prodotti industriali”), del noto logo a forma di cuore “Sweet Years”, riprodotto su un certo numero di capi di abbigliamento senza l’autorizzazione del titolare, titolare che però all’epoca dei fatti non lo aveva ancora registrato. In ragione di tale mancata registrazione, la Suprema Corte riforma la decisione della Corte d’Appello di Bari aderendo all’impostazione del Tribunale di primo grado che aveva ritenuto non sussistente il reato. (…)
La norma su cui la Cassazione penale basa la sua decisione è il comma 3 dell’art. 473 c.p., secondo il quale “I delitti previsti dai commi primo e secondo sono punibili a condizione che siano state osservate le norme delle leggi interne, dei regolamenti comunitari e delle convenzioni internazionali sulla tutela della proprietà intellettuale o industriale”. Poiché i delitti di cui all’art. 473 c.p., dice la Corte, sono espressamente puniti dalla legge a tutela della fede pubblica (ed infatti inseriti nel relativo titolo del codice penale), il co. 3 di tale norma “deve essere interpretato nel senso che, per la configurabilità dei delitti (…), è necessario che il marchio o il segno distintivo sia stato depositato, registrato o brevettato nelle forme di legge” e che se ne sia completata la registrazione, non essendo sufficiente il semplice avvenuto deposito della domanda di registrazione.
La Cassazione aderisce così alla giurisprudenza penale più risalente, dando atto del fatto che quella più recente era in senso difforme, e trova conferma per il proprio ragionamento nel fatto che l’art. 473 c.p. è stato recentemente riformato dall’art. 15 co. 1 L. 99/2009 che vi ha inserito la precisazione per cui viene punito chi contraffà o altera marchi o segni distintivi “potendo conoscere dell’esistenza del titolo di proprietà industriale”: infatti, dice la Corte, “si può conoscere solo un titolo già rilasciato, mentre la semplice richiesta dello stesso non dà luogo, di per sé, alla garanzia dell’esito positivo della procedura amministrativa avviata”.
Alla luce di ciò, la Corte ha ritenuto insussistente l’ipotesi di reato ex. art. 473 c.p. e ha rinviato al giudice d’appello perchè questo verifichi l’eventuale sussistenza della diversa e meno grave fattispecie dell’art. 517 c.p. (“Vendita di prodotti industriali con segni mendaci”, nel titolo dei “Delitti contro l’industria e il commercio”), “fattispecie che sarebbe sussistente in presenza di un marchio semplicemente imitato, per quanto al tempo non registrato”.