IP TRANSLATOR: la CGUE sulla precisione richiesta nell’indicare i beni per cui si registra un marchio – e l’immediata reazione dell’UAMI

La Corte di Giustizia UE (CGUE) si è pronunciata lo scorso 19 giugno nella nota causa relativa al marchio “IP TRANSLATOR” (C-307/10), in cui si discuteva dei requisiti da rispettare nell’indicare i prodotti e servizi per i quali è richiesta la registrazione di un marchio.

Come è noto, infatti, nel registrare un marchio è necessario indicare per quali prodotti/servizi viene richiesta la registrazione (e quindi la tutela). I prodotti e servizi sono suddivisi nelle 45 classi della Classificazione di Nizza, ciascuna delle quali ha un titolo che ne indica il macro-settore di riferimento (es. classe 25: “articoli di abbigliamento, scarpe, cappelleria”), ma racchiude poi numerosi più prodotti rispetto a quelli indicati nel titolo: tant’è che, a fronte di 45 classi, l’elenco dei nomi dei prodotti / servizi ivi inclusi ammonta a circa 12.000 lemmi. La questione posta all’attenzione della CGUE riguardava il grado di precisione e chiarezza da osservare nell’indicare i prodotti per cui si chiede la registrazione, ovvero in sostanza se sia sufficiente indicare il titolo della classe o vada specificato il prodotto/servizio di interesse.

Nel caso di specie, il Chartered Institute of Patent Attorneys(“CIPA”) aveva richiesto la registrazione del marchio nazionale IP TRANSLATOR nel Regno Unito, individuando i servizi oggetto di registrazione semplicemente con riferimento al titolo della classe 41: “Educazione; Formazione; Divertimento; Attività sportive e culturali”. Il Registrar of Trade Marks inglese (“RTM”) aveva però respinto la domanda obiettando che tale classe include i servizi di traduzione, dal che l’impossibilità di concedere la registrazione del marchio IP TRANSLATOR in quanto privo di carattere distintivo e meramente descrittivo del servizio da esso identificato. Il CIPA aveva allora impugnato la decisione del RTM affermando che la propria domanda non menzionava e non riguardava i servizi di traduzione; e la High Court of Justice inglese aveva chiesto alla CGUE di pronunciarsi a riguardo.

Nella propria decisione, la CGUE chiarisce che, in base alla direttiva sui marchi n. 2008/95/CE, i prodotti o i servizi per cui è richiesta la registrazione devono essere identificati dal richiedente con chiarezza e precisione sufficienti a consentire alle autorità competenti e agli operatori economici di determinare la portata della tutela conferita dal marchio. A tal fine è consentito, in via generale, fare riferimento ai titoli delle classi; e tuttavia, in alcuni casi i titoli in questione sono troppo generici e comprendono prodotti/servizi troppo diversi tra loro, per cui in tali casi il richiedente dovrebbe precisare se si riferisce davvero a tutti i prodotti/servizi della classe specifica o solo ad alcuni (ed in tal caso, a quali).

Nel caso di specie, conclude la CGUE, il giudice inglese dovrà quindi accertare se nella propria domanda di registrazione il CIPA avesse precisato o meno quali servizi intendeva proteggere, ed in particolare se la domanda concernesse o meno anche i servizi di traduzione.

A fronte di tale decisione, l’Ufficio per l’Armonizzazione del Mercato Interno (UAMI), competente per il rilascio dei marchi comunitari, si è già mosso per adeguare il proprio sistema di registrazione ed armonizzarlo con i diversi sistemi nazionali: con comunicazione di ieri (che si può leggere qui http://oami.europa.eu/ows/rw/resource/documents/OHIM/pressRoom/ip_translator_press%20release-en.pdf) ha segnalato di avere già contattato gli uffici nazionali per un incontro a riguardo, e di stare aggiornando il proprio sistema per agevolare i richiedenti nella individuazione dei beni per cui si chiede la registrazione.

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La CGUE ammette le restrizioni alla circolazione delle merci per tutelare i diritti d’autore