Il Tribunale di Milano sull’equo compenso per lo sfruttamento di opere cinematografiche

Pubblicato anche su Diritto24 de Il Sole 24 Ore

Con sentenza pubblicata lo scorso 1 aprile, il Tribunale di Milano (Sezione specializzata in materia di Impresa “A”, Presidente dr.ssa Tavassi, Giudice Relatore Dr.ssa Giani, terzo Giudice dr.ssa Gandolfi) si è pronunciato sull’equo compenso dovuto all’autore di un’opera cinematografica che ha ceduto al produttore i diritti di diffusione della medesima opera. La vertenza vedeva contrapposte la SIAE a Sky Italia S.r.l., la quale aveva agito in giudizio chiedendo che fosse accertato e dichiarato che l’equo compenso in questione, previsto dall’art. 46bis L. 633/41 (Legge sul Diritto d’Autore, “LDA”), fosse dovuto agli autori dell’opera non dall’emittente televisiva che trasmette l’opera, ma dal produttore dell’opera medesima.

La norma in contestazione (art. 46bis LDA), introdotta nella LDA dal D. Lgs. 581/96, prevedeva in effetti inizialmente che l’equo compenso per le utilizzazioni delle opere cinematografiche fosse dovuto agli autori delle medesime da parte dei produttori. Tuttavia, con D. Lgs. 154/97 essa venne modificata ponendo l’equo compenso a carico delle emittenti televisive. A fronte di tale dato letterale, nel giudizio in questione Sky affermava tuttavia che tale norma dovesse essere comunque interpretata nel senso di porre l’equo compenso a carico del produttore; in mancanza, secondo l’attrice, la norma sarebbe stata incostituzionale e incompatibile con le previsioni comunitarie. Sky chiedeva quindi al Tribunale in via principale di accertare che la norma andava interpretata nel modo da essa prospettato, ovvero, in subordine, di sollevare la questione di legittimità costituzionale e di adire la Corte di Giustizia UE per una sua pronuncia pregiudiziale.

Nella decisione in commento il Tribunale, effettuata una puntuale ricognizione della normativa applicabile, rigetta tuttavia integralmente le domande di Sky, concludendo che la norma va interpretata esattamente in conformità con il suo dato letterale che pone l’equo compenso a carico dell’emittente. In particolare, nel rigettare specificamente le singole tesi difensive di Sky, il Collegio rileva che:
i) “la volontà del legislatore di porre l’equo compenso a carico delle emittenti televisive, piuttosto che dei produttori, è chiaramente evincibile dalla lettera della norma ed è espressamente enunciata nei lavori preparatori”;
ii) va escluso che vi sia stato un eccesso di delega da parte del legislatore delegato per assenza dei poteri di operare la modifica in questione, posto che invece il legislatore delegato ha agito esattamente “in forza dei poteri di modifica” attribuitigli dalla legge delega;
iii) allo stesso modo, non si è avuto un eccesso di delega nemmeno con riferimento all’asserita violazione dei principi e criteri posti dalla legge delega: quest’ultima, infatti, “non ha individuato il soggetto gravato dall’obbligo di corrispondere l’equo compenso”, tal che il legislatore delegato “aveva il potere discrezionale d’individuare il soggetto tenuto all’obbligo di corresponsione dell’equo compenso in favore degli autori, purché il compenso fosse legato all’utilizzazione delle opere”;
iv) a nulla rileva che l’emittente televisiva non abbia un rapporto contrattuale con l’autore dell’opera ma solo con il produttore: il legislatore delegato, infatti, nell’esercizio del potere discrezionale devolutogli, ha semplicemente deciso di “fondare il titolo dell’equo compenso nella legge invece che nel rapporto contrattuale”, tal che il mancato pagamento dello stesso “integra gli estremi non di un inadempimento contrattuale, ma dell’inosservanza delle condizioni poste dalla legge”. Un simile meccanismo, rileva il Collegio, è peraltro previsto anche in altri casi, da altre norme della LDA;
v) nessun contrasto è poi ravvisabile tra la norma in questione e l’art. 56 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (“TFUE”) che vieta restrizioni alla libera circolazione dei servizi all’interno dell’UE e che, a detta di Sky, sarebbe stato violato dalla norma de quo perché essa avrebbe reso più costoso – e quindi limitato – l’esercizio dell’attività televisiva in Italia: anche ove la ricostruzione di Sky sull’effetto limitativo della norma fosse corretto, a ciò andrebbe opposto che l’art. 56 TFUE vieta solo le restrizioni “ingiustificate”, e l’art. 36 TFUE consente espressamente restrizioni giustificate da esigenze di tutela della proprietà intellettuale quali quella in questione;
vi) infine, nessun contrasto è ravvisabile tra la norma in questione e le direttive 93/83/CEE e 2001/29/CEE, che definiscono, rispettivamente, il diritto esclusivo di radiodiffusione via satellite e il diritto esclusivo di comunicazione al pubblico: da un lato, infatti, le direttive “non vietano la previsione del diritto al compenso”; dall’altro, la previsione di quest’ultimo “non incide sul riconoscimento del diritto esclusivo di comunicazione al pubblico da parte del produttore”.

Alla luce di tutto quanto precede, il Tribunale conclude quindi accertando che l’equo compenso è dovuto dalle emittenti televisive e non dei produttori. Quanto al suo ammontare, ai sensi dell’art. 46bis co. 4 esso dovrà essere determinato sulla base di accordi individuali o collettivi, ovvero, in mancanza, da un collegio di tre arbitri che decideranno secondo equità.

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