Il tribunale di Milano condanna Google per i risultati del “suggest search”

Tempi duri in Italia per gli Internet Service Providers (ISP): dopo la recente decisione sui link “pirata” presentati dal motore di ricerca Yahoo!, di cui abbiamo parlato qui in questo blog, il Tribunale di Milano ha recentemente emanato un’ordinanza nei confronti di Google che farà a sua volta molto discutere.

Il caso è stato portato all’attenzione dei Giudici da un signore che affermava che, digitando il proprio nome nel motore di ricerca Google, il software “suggest search” suggerisse di completare la stringa di ricerca con le parole “truffa” e “truffatore”. Il ricorrente lamentava che ciò costituisse atto di diffamazione a suo danno e comportasse la lesione del suo onore, della sua immagine e della sua reputazione personale e professionale; per tali ragioni, chiedeva che Google fosse condannata a rimuovere dal proprio software l’associazione tra il nome del ricorrente e le parole in questione, con fissazione di un risarcimento per ogni giorno di ritardo nell’adempimento dell’ordine del giudice. (…)

Con ordinanza resa in data 21/25 gennaio 2011 il Giudice aveva accolto il ricorso cautelare ordinando a Google di provvedere alla rimozione dal proprio software dell’associazione tra il nome del ricorrente e le parole “truffa” e  “truffatore”, fissando una somma per ogni giorno di ritardo nell’ottemperanza all’ordine. Il giudice di prime cure aveva infatti ritenuto che la semplice associazione,creata dal software, tra il nome del ricorrente e le parole “truffa” e “truffatore” presentasse di per sé caratteri diffamatori in quanto lesivi dell’onore e della reputazione della persona nominata, ingenerando nell’utente il sospetto di attività non lecite da parte del ricorrente.

A seguito del reclamo interposto da Google, il Tribunale di Milano in composizione collegiale ha riesaminato il caso ed emanato l’ordinanza in oggetto, con cui ha rigettato il reclamo condividendo in toto le valutazioni del primo Giudice.

L’ordinanza rileva in particolare che la vertenza non riguarda l’eventuale responsabilità di Google per i dati caricati / trasmessi sui suoi server dagli utenti – terreno su cui si era difesa Google -, bensì l’associazione tra il nome del ricorrente e le parole “truffa” e “truffatore”compiuta dal software predisposto da Google. Così, “è la scelta a monte e l’utilizzo di tale sistema e dei suoi particolari meccanismi di operatività a determinare – a valle – l’addebitabilità a Google dei risultati che il meccanismo così ideato produce; con la sua conseguente responsabilità extracontrattuale (ex art. 2043 c.c.) per i risultati eventualmente lesivi determinati dal meccanismo di funzionamento di questo particolare sistema di ricerca“. I Giudici hanno peraltro aggiunto che “ciò che il ricorrente richiede non è il controllo preventivo sui dati presenti nel sistema, ma quello successivo a posteriori sui risultati della sua operatività“.

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