Il Tribunale dell’UE ha un occhio di riguardo per il marchio Chiara Ferragni
L’8 febbraio scorso, il Tribunale dell’UE ha annullato la decisione con la quale l’EUIPO (Ufficio dell’Unione Europea per la Proprietà Intellettuale) aveva accolto l’opposizione di una società olandese contro la domanda di marchio europeo figurativo “Chiara Ferragni”, richiesto per prodotti delle classi 18 e 25, comprendenti borse, valigie, astucci e abbigliamento.
La decisione dell’EUIPO si era basata sull’asserita confusione con il marchio anteriore puramente denominativo “Chiara”, registrato nel Benelux nel 2015 per prodotti di abbigliamento dalla società opponente.
Il marchio posteriore, riprodotto qui di seguito, è invece composto da una combinazione di elementi denominativi e figurativi: le parole «chiara» e «ferragni», in caratteri maiuscoli neri, con le lettere «i» in grassetto; sopra questi, il disegno stilizzato dell’occhio azzurro con lunghe ciglia nere.
Nell’accogliere l’opposizione, la commissione di ricorso EUIPO aveva mosso dall’assunto che gli elementi denominativi costituissero la parte predominante e distintiva del segno riprodotto qui sopra. Il consumatore di riferimento si sarebbe tendenzialmente concentrato su questi, percependo, invece, l’elemento figurativo come una mera rappresentazione stilizzata di un occhio con lunghe ciglia, priva di particolare valore distintivo.
Su queste premesse, e dunque focalizzandosi sul raffronto tra la parola “chiara” da un lato e le parole “chiara ferragni” dall’altro, l’EUIPO aveva ritenuto sussistere rischio di confusione tra i due segni in virtù della somiglianza visiva e fonetica tra gli stessi (mentre, dal punto di vista concettuale, il confronto per l’EUIPO sarebbe rimasto “neutrale”).
Decisivo, nel ribaltare la decisione dell’EUIPO, è stato il rilievo preliminare del Tribunale, di segno diametralmente opposto, che nel marchio Chiara Ferragni l’elemento denominativo nonpredomini su quello figurativo (l’occhio azzurro con lunghe ciglia nere). Il carattere fortemente stilizzato di questo, la presenza del colore, la collocazione nella parte superiore del marchio, le dimensioni relative nell’economia del segno, la carenza di nesso concettuale con i prodotti delle classi 18 e 25 che è chiamato a contrassegnare (e, dunque, la distintività intrinseca) secondo il Tribunale sono tali da distogliere l’attenzione del pubblico di riferimento dall’elemento denominativo e conferiscono all’elemento figurativo carattere “almeno tanto distintivo” quanto gli elementi denominativi.
Naturalmente, la diversa premessa ha impattato sulla valutazione di somiglianza tra i due segni e, a cascata, sul giudizio di confusione.
In particolare, il Tribunale ha giudicato che la somiglianza visiva tra i due segni sia in realtà “debole”, proprio a causa dell’impatto significativo dell’elemento figurativo sull’impressione visiva complessiva prodotta dal marchio posteriore.
Quanto alla somiglianza concettuale, il Tribunale ha ritenuto che il confronto, lungi dal dare risultato “neutrale”, conduca a un giudizio di diversità. Ciò, in primis, perché (solo) il marchio posteriore contiene il disegno di un occhio, che presenta un contenuto semantico molto preciso. In secondo luogo, perché, per la parte del pubblico di riferimento (il grande pubblico dei tre Paesi del Benelux, dove il marchio anteriore è stato registrato) che non identificherebbe la parola «chiara» come un nome femminile, gli elementi denominativi dei segni in conflitto sarebbero tutti ugualmente privi di significato concettuale, e non potrebbero quindi essere considerati simili; mentre la parte del pubblico di riferimento che assocerebbe il marchio anteriore Chiara a un nome femminile assocerebbe parimenti il marchio richiesto Chiara Ferragni a un nome femminile e a un cognome. Pertanto, sebbene i due segni contengano entrambi il nome Chiara, l’elemento «ferragni» sarà memorizzato dal consumatore come elemento maggiormente distintivo rispetto al nome Chiara.
Quanto, infine, alla somiglianza fonetica, le sei sillabe formate dal marchio posteriore, secondo il Tribunale, “si distinguono per lunghezza, ritmo e accentuazione dalle tre sillabe che compongono il marchio anteriore esaminato” e l’elemento di differenziazione «ferragni», per la sua lunghezza, è foneticamente più importante rispetto all’elemento di somiglianza «chiara» e contribuisce in modo rilevante all’impressione fonetica complessiva. Pertanto, le differenze sul piano fonetico tra i marchi in conflitto appaiono almeno altrettanto significative che le loro somiglianze e i segni in conflitto presentano un grado di somiglianza al più «medio».
In definitiva, a giudizio del Tribunale, nella percezione del pubblico di riferimento i segni in conflitto sono, tutt’al più, debolmente simili sul piano visivo, mediamente simili sul piano fonetico e distinti sul piano concettuale.
Passando alla valutazione globale del rischio di confusione, il Tribunale ha osservato che l’importanza degli elementi di somiglianza o di differenza tra i segni può dipendere dalle condizioni di commercializzazione dei prodotti o dei servizi contrassegnati dai marchi in conflitto. Nel caso di specie, i prodotti delle classi 18 e 25 sono generalmente venduti in negozi self-service, di modo che la somiglianza visiva svolge un ruolo molto importante nella valutazione globale del rischio di confusione; peraltro, anche se il consumatore si fa aiutare da un venditore, avrà la possibilità di vedere i prodotti prima dell’acquisto. La presenza del disegno raffigurante un occhio azzurro con lunghe ciglia nere nel marchio richiesto non potrà, dunque, sfuggire alla sua attenzione.
Ne risulta che, avendo erroneamente concluso nel senso di un grado medio di somiglianza visiva, e non avendo attribuito sufficiente importanza all’impressione visiva dei marchi, e in particolare all’elemento figurativo del marchio posteriore, la commissione di ricorso ha commesso un errore di valutazione del rischio di confusione: in realtà, le differenze tra i marchi in conflitto, in particolare sotto il profilo visivo, nel caso di specie escludono che i consumatori possano pensare che i prodotti in questione, quando sono venduti con i marchi in conflitto, provengano dalla stessa impresa o da imprese economicamente collegate.
La decisione del Tribunale è appellabile, entro un termine di due mesi e limitatamente alle questioni di diritto, dinanzi alla Corte di giustizia.