Fare green marketing evitando il green washing

(La versione originale di questo post è pubblicata sul portale Norme & Tributi Plus del Sole 24 Ore)

«I cosiddetti claim ambientali o verdi (detti anche “green claims” o “environmental claims”), diretti a suggerire o, comunque, a lasciar intendere o anche solo a evocare il minore o ridotto impatto ambientale del prodotto offerto, sono diventati un importante strumento pubblicitario in grado di orientare significativamente le scelte di acquisto dei consumatori, sulla base della loro accresciuta sensibilità verso tali tematiche. Per tale motivo essi devono riportare i vantaggi ambientali del prodotto in modo puntuale e non ambiguo, essere scientificamente verificabili e, infine, devono essere comunicati in modo corretto» (AGCM, provv. n. 28060 del 20.12.2019).

La Commissione Europea, nei suoi “Orientamenti per l’attuazione della Direttiva 2005/29/CE relativa alle pratiche commerciali sleali”, ha fornito alcune indicazioni pratiche da rispettare per fare green marketing in linea con le norme applicabili. In particolare, è necessario:

  • presentare le dichiarazioni ecologiche in modo chiaro, specifico, accurato e inequivocabile

  • disporre di prove, proveniente da terzi indipendenti, a sostegno delle proprie dichiarazioni, ed essere pronti a fornirle alle autorità competenti

  • non usare un contesto ingannevole, es. per elementi grafici, anche se per comunicare informazioni corrette

  • non vantare benefici ambientali vaghi e generici, es. “rispettoso dell’ambiente”, “verde”: specificare quali benefici e quali precisi aspetti del prodotto li generano

  • tenere conto dei principali impatti ambientali del prodotto durante il suo intero ciclo di vita: es. non vantare che consuma meno acqua se di conseguenza consuma più energia

  • verificare periodicamente le affermazioni per assicurare che siano sempre esatte e aggiornate

  • non vantare caratteristiche imposte dalla legge, es. assenza di sostanze che sono vietate per legge

  • in caso di confronto con altri prodotti sul mercato, confrontare prodotti analoghi sulla base di dati omogenei e con riferimento a caratteristiche essenziali, pertinenti, verificabili e rappresentative.

Quando non si rispettano queste indicazioni, il rischio è quello di cadere nel c.d. green washing illegittimo, alias l’appropriazione indebita di virtù ambientaliste finalizzata alla creazione di un’immagine “verde” non realmente rispondente all’impatto ambientale dell’azienda. La pratica del green washing è censurata da diverse norme nazionali, quali in particolare:

  1. gli artt. 20-23 del Codice del Consumo (d. lgs 206/2005) e gli artt. 2-3 del D. Lgs. 145/07, che sanzionano le pratiche commerciali scorrette perché contrarie a diligenza professionale ovvero ingannevoli e idonee a falsare il comportamento economico del loro destinatario, portandolo ad a assumere una decisione economica che non avrebbe altrimenti preso;

  2. l’art. 2598 del Codice Civile, in base al quale compie atti di concorrenza sleale chiunque si vale direttamente o indirettamente di mezzi non conformi ai principi della correttezza professionale e idonei a danneggiare l’altrui azienda;

  • gli artt. 2 e 12 del Codice di Autodisciplina Pubblicitaria, che a loro volta impongono che la comunicazione commerciale non debba indurre in errore i consumatori e, laddove dichiari benefici ambientali, debba basarsi su dati veritieri, pertinenti e scientificamente verificabili.

Le conseguenze negative a cui l’azienda rischia di andare incontro, in caso di green washing illecito, includono non solo il divieto di ulteriore diffusione della comunicazione commerciale, con applicazione di una penale per inottemperanza e ordine di pubblicare la relativa decisione, ma anche sanzioni economiche da parte dell’AGCM fino a 5 milioni di euro e ordini di risarcimento dei danni da parte dei Tribunali ordinari.

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