Certificati protettivi complementari: il Tribunale di Milano in Sanofi v. Teva “replica” la sentenza della CGUE nel caso Actavis
(Pubblicato anche in Diritto24 de Il Sole 24 Ore)
Con sentenza n. 9855/14 pubblicata lo scorso 1 agosto, la Sezione Specializzata in Materia di Impresa “A” del Tribunale di Milano ha deciso il procedimento avviato da Sanofi contro Teva per contraffazione del Certificato Protettivo Complementare UB99P653 (“CPC ‘653”), detenuto da Sanofi sul proprio farmaco CoAprovel a base di irbesartan + idroclorotiazide e asseritamente violato dal relativo farmaco generico di Teva. La decisione – discostandosi da precedenti della medesima Sezione Specializzata – ha concluso per la nullità di CPC ‘653 dichiaratamente uniformandosi alla sentenza della Corte di Giustizia UE (“CGUE”) nell’identico caso che vedeva contrapposta Sanofi ad Actavis (C-443/12).
La questione fondamentale oggetto di dibattito era sostanzialmente la validità di CPC ‘653: secondo la convenuta esso era invalido sia poiché il relativo brevetto di base EP 454511 (“EP ‘511”) non rivendicava la combinazione di irbesartan e idroclorotiazide, sia poiché il CPC ‘653 era stato concesso dopo che Sanofi aveva già ottenuto un CPC sul proprio farmaco Aprovel a base del principio attivo irbesartan oggetto di EP ‘511. Tali circostanze, secondo Teva, determinavano la mancanza dei requisiti posti rispettivamente dalle lettere a) e c) dell’art. 3 del Regolamento per la concessione di un valido CPC: “Il certificato viene rilasciato se nello Stato membro nel quale è presentata la domanda di cui all’articolo 7 e alla data di tale domanda: a) il prodotto (alias “il principio attivo o la composizione di principi attivi di un medicinale”, secondo la definizione di “prodotto” data dall’art. 1 del Regolamento) è protetto da un brevetto di base in vigore; b) per il prodotto in quanto medicinale è stata rilasciata un’autorizzazione in corso di validità di immissione in commercio a norma, secondo il caso, della direttiva 2001/83/CE o della direttiva 2001/82/CE; c) il prodotto non è già stato oggetto di un certificato; d) l’autorizzazione di cui alla lettera b) è la prima autorizzazione di immissione in commercio del prodotto in quanto medicinale”.
L’attrice opponeva che il CPC ‘653 dovesse invece considerarsi valido poiché EP ‘511 copriva non solo il “prodotto” costituito dal principio attivo irbesartan ma anche – nella rivendicazione 20 – il “prodotto” dato dalla combinazione dell’irbesartan con un “diuretico”, per il quale l’esperto del ramo avrebbe selezionato l’idroclorotiazide (ciò che soddisfaceva il requisito di cui all’art. 3 lett. a); in aggiunta, il proprio farmaco composto dalla combinazione di irbesartan e idroclorotiazide era un “prodotto” diverso dal proprio farmaco a base del solo irbesartan, e poteva perciò essere tutelato con un autonomo CPC ai sensi dell’art. 3 lett. c).
La Sezione Specializzata milanese aveva inizialmente accolto la prospettazione di Sanofi, inibendo in via cautelare la commercializzazione del generico di Teva per contraffazione di CPC ‘653, e confermando la propria decisione in sede di reclamo. Tuttavia, nella decisione in commento i Giudici aditi cambiano parzialmente rotta, dichiaratamente per la necessità di uniformarsi alla decisione della CGUE nel caso Actavis (C-443/12) avente ad oggetto il medesimo brevetto e CPC (asseritamente contraffatti, in quel caso, dal corrispondente farmaco generico di Actavis).
Nello specifico, i Giudici milanesi confermano quanto da essi affermato in sede cautelare sulla ritenuta sussistenza del requisito di cui all’art. 3 lett. a), trovando sostegno in altra decisione della CGUE (in C-493/12, Ely Lilly), “posto che nella riv. 20, che letteralmente indica l’associazione dell’irbesartan con un diuretico, si poteva ritenere compresa la possibile associazione irbesartan + idroclorotiazide, essendo questo una dei diuretici abitualmente utilizzati quale antiipertensivo e facilmente individuabile dal tecnico del ramo”.
I Giudici milanesi fanno invece retromarcia con riferimento al rispetto del requisito di cui all’art. 3 lett. c), rilevando che secondo la decisione CGUE nel caso Actavis “non può ammettersi che al titolare di un brevetto di base in vigore possa essere rilasciato un nuovo CPC eventualmente dotato di un periodo di validità più esteso, ogni volta che questi immette in commercio in uno Stato membro un medicinale contenente, da un lato, un principio attivo, protetto in quanto tale dal suo brevetto di base e che costituisce, secondo gli accertamenti del giudice del rinvio, l’attività inventiva centrale di tale brevetto e, dall’altro, un altro principio attivo che non è protetto in quanto tale da detto brevetto” (punto 30). In tal senso, secondo la Sezione Specializzata milanese (in linea con quanto concluso dalla CGUE) l’idroclorotiazide non è “protetto in quanto tale dal brevetto”, perché “vengono escluse dalla nozione di “prodotto protetto dal brevetto di base” quelle combinazioni tra il principio attivo inventivo e altri principi noti che – ancorché, come nella specie, rivendicate in rivendicazioni dipendenti che fruiscono dei requisiti di inventività di quella principale da cui dipendono – si risolvano in forme di mera somministrazione unitaria di farmaci già usualmente prescritti congiuntamente (quale è il caso di antiipertensivi e diuretici) per i loro noti effetti sinergici, cui non osta alcun pregiudizio tecnico o controindicazione generale e che quindi non hanno richiesto alcuna attività inventiva”.
Da quanto sopra è quindi derivato il rigetto delle domande di Sanofi e l’accoglimento della domanda di nullità di CPC ‘653 proposta in via riconvenzionale da Teva, con condanna di Sanofi al pagamento delle spese di lite e di CTU.