Il Tribunale di Milano tutela i pantaloni Freddy a effetto “push-up”

Pubblicato anche su Diritto24 – Il Sole 24 Ore

Con sentenza n. 2016/17 dello scorso 2 marzo la Sezione Specializzata in materia di Impresa “A” del Tribunale di Milano ha accertato la validità e la contraffazione del brevetto e del modello comunitario non registrato detenuti da Freddy S.p.A. sui suoi pantaloni WR.UP. Si trattava nello specifico di pantaloni caratterizzati dal fatto “di unire i vantaggi derivanti dall’impiego di un tessuto in maglia, quale il jersey, che garantisce comfort e vestibilità, con la funzione di modellare fianchi e glutei, grazie a particolari soluzioni tecniche”.

La controparte accusata di contraffazione era una società romana di proprietà cinese. Questa per la verità, si legge nella sentenza, non aveva nemmeno contestato gli esiti della consulenza tecnica d’ufficio (CTU) disposta dal Giudice, secondo la quale il brevetto Freddy era valido e violato dalla controparte. Il Tribunale fa propria questa conclusione, rilevando che essa è “congruamente ed esaustivamente motivata” e accertando perciò la contraffazione del brevetto attoreo.

In punto di violazione del modello comunitario non registrato, il Tribunale afferma poi che il modello Freddy possiede i requisiti di novità e carattere individuale richiesti dalla legge, posto che gli elementi che lo compongono “se considerati individualmente possono anche sembrare banali, ma nella loro specifica combinazione appaiono tali da poter conferire al design adeguato carattere individuale”. Anche con riferimento a tale diritto di proprietà intellettuale viene quindi accertata la contraffazione ad opera della controparte, posto che “i pantaloni della convenuta sono del tutto identici nei particolari che conferiscono carattere individuale a quelli dell’attrice”. Del resto, sottolineano i Giudici, “sarebbe spettato alla convenuta fornire la prova dell’assenza dei requisiti di novità e carattere individuale, quindi della presenza sul mercato di modelli uguali o simili, tanto da suscitare analoga impressione generale, ma, al riguardo, la convenuta non ha dedotto alcunché”.

Alla luce dell’accertata contraffazione, il Tribunale ordina quindi alla convenuta di cessare ogni vendita dei pantaloni contestati e di ritirare quelli in commercio, con fissazione di penale di € 70 per ogni ulteriore capo venduto in contraffazione. Condanna inoltre la convenuta al risarcimento dei danni subiti, quantificati (a seguito di CTU contabile) in € 50.000 sulla base del numero di prodotti venduti dalla convenuta, oltre a € 15.000 per danni di immagine, sull’assunto che “è indubbio che la reputazione commerciale della società attrice sia stata compromessa dalla presenza sul mercato di prodotti simili ad un prezzo significativamente più basso”. A carico della convenuta vengono posti anche i costi delle due CTU (tecnica e contabile) pari a € 18.500, gli onorari del consulente tecnico di parte attrice e le spese di lite, pari a circa € 15.000. Viene infine ordinata la pubblicazione dell’intestazione e del dispositivo della sentenza su Il Sole 24 Ore a caratteri doppi del normale, naturalmente a spese della convenuta.

Indietro
Indietro

Invito al workshop “Privacy e dati medici” – Milano, 30 marzo h. 15

Avanti
Avanti

Il Garante della Privacy ribadisce il divieto di controllo indiscriminato su e-mail e smartphone aziendali