Il Tribunale di Milano sulla presunta contraffazione di un marchio complesso ad opera di Apple

Con sentenza pubblicata lo scorso 5 agosto (R.G. 7640/’13), la Sezione Specializzata in Materia di Impresa A del Tribunale di Milano ha escluso che il marchio denominativo comunitario “IWEB”, di titolarità della Apple Inc., costituisca contraffazione di antecedenti marchi italiani di proprietà della Galgano Informatica S.r.l., al contempo respingendo la domanda riconvenzionale di nullità proposta da Apple.

Nel 2013 Galgano Informatica, una società produttrice e distributrice di software italiana, aveva agito contro Apple lamentando che l’uso da parte della casa madre californiana e delle sue filiali italiane del segno “IWEB”, depositato come marchio comunitario nel 2006 e registrato il 30 gennaio 2008, costituisse contraffazione di diversi propri marchi anteriori utilizzati per gli stessi prodotti e servizi, e precisamente il marchio di fatto denominativo “iweb”, il marchio di fatto figurativo costituito dalla parola “iweb”, dalla raffigurazione stilizzata di un camaleonte  e dal pay-off “improve yourself” – asseritamente utilizzati nel mercato sin dall’inizio del 2004 – e, infine, il marchio registrato italiano corrispondente al marchio di fatto figurativo, depositato il 30 settembre 2004.

Nel costituirsi, Apple eccepiva la convalida del proprio marchio ex art. 54(2) del Reg. CE 207/’09, asserendo che Galgano Informatica avesse tollerato l’uso del marchio posteriore per oltre cinque anni dal deposito dello stesso; proponeva, poi, domanda riconvenzionale di nullità del marchio registrato dall’attrice, sostenendo che la sua componente denominativa sarebbe stata descrittiva dei prodotti che contraddistingueva e, al contempo, priva di novità, in quanto la lettera “i” sarebbe stata precedentemente adottata in una numerosa serie di marchi Apple (iMac,  iTunes,  iPod) da tempo presenti sul mercato; in punto contraffazione, rilevava come, in ogni caso, ci sarebbero state rilevanti differenze tra i marchi in questione, tali da escludere il rischio di confusione tra gli stessi e che la clientela dei prodotti contraddistinti dal marchio dell’attrice – per ammissione della stessa – sarebbe stata di nicchia e specializzata rispetto a quella più ampia e diversa di Apple.

Con la sopracitata decisione i Giudici milanesi, in via preliminare, hanno stabilito che la convalida del marchio “IWEB” invocata da Apple non sussistesse. Hanno, infatti, ricordato che “il dies a quo (del termine quinquennale) decorre dalla data di registrazione del marchio e non può incominciare a decorrere a partire dal mero uso di un marchio posteriore, anche qualora il suo titolare abbia provveduto e ottenuto in seguito la registrazione”: alla luce di tale precisazione, nel caso di specie, hanno rilevato che i cinque anni previsti non erano ancora scaduti al momento della notificazione dell’atto di citazione da parte dell’attrice (e precisamente, della data di consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario, in virtù del noto principio della scissione degli effetti della notifica per notificante e notificato).

Nel merito, i giudici milanesi non hanno riconosciuto la sussistenza dei due marchi di fatto azionati dall’attrice poiché ai fini del “riconoscimento del marchio di fatto, non può ritenersi prova sufficiente l’uso occasionale o sporadico di un segno” ma è altrettanto necessario sia dimostrata “la notorietà qualificata acquisita presso il pubblico a seguito del diffuso radicamento della forza distintiva del segno”. Notorietà qualificata di cui i due marchi erano, secondo il Collegio, sprovvisti. I giudici hanno quindi rivolto la propria attenzione ai soli segni registrati e all’esame comparativo tra questi.

Circa l’accertamento del rischio di confusione, il Tribunale ha ricordato che “nel caso di marchio complesso, come quello di specie, l’esame va fatto con riguardo alle singole componenti dotate di autonoma efficacia distintiva, denominative o figurative che siano”; infatti “in presenza di elementi denominativi e figurativi, non può ritenersi automaticamente dominante l’elemento denominativo, ma la valutazione va fatta in concreto”. In applicazione di tale principio, ha pertanto evidenziato come il marchio complesso registrato dall’attrice possieda una componente figurativa di fantasia altamente distintiva a fronte di una componente denominativa “iweb” debole, data  “l’indubbia  natura descrittiva del segno web e altresì della diffusione, nel settore informatico, della vocale iniziale i”. Alla luce di ciò, pur ravvisandosi un’identità fonetica tra i segni, il fatto che il marchio di Apple non riproduca la componente figurativa, altamente caratterizzante, ma solo quella denominativa debole del suddetto marchio, deve, secondo il Tribunale, portare ad escludere il rischio di confusione tra i segni, anche in considerazione del fatto che il livello d’attenzione medio del consumatore di servizi tecnologici è “piuttosto elevato” e tenuto conto del “differente bacino d’utenza dei prodotti” coperti dai due marchi.

Per tale motivo i Giudici hanno ritenuto infondata la domanda di contraffazione.

Hanno, per converso, ritenuto altresì infondata la domanda riconvenzionale di nullità proposta da Apple. Il marchio complesso dell’attrice non è stato giudicato nullo, in quanto, in primo luogo, da un punto di vista globale, il segno è comunque distintivo poiché solo una delle sue componenti è descrittiva di servizi informatici; in secondo, gode di novità poiché “i segni preceduti dalla “i” presenti sul mercato alla data della domanda di registrazione del segno da parte di Galgano  (tra cui peraltro non vi era il segno IWEB) non facevano parte solo della famiglia di marchi di Apple, ma anche di numerosi  altri soggetti, e non costituivano, di per sé, elemento sufficiente per creare confusione sull’origine dei servizi”.

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