Le associazioni di termini fatte dall’autocomplete di Google non costituiscono diffamazione
Il tribunale di Pinerolo ha emanato oggi, nel procedimento avente R.G. n. 969/12, un’importante ordinanza in tema di (assenza di) responsabilità di Google Inc. per le associazioni tra termini di ricerca suggerite dalla funzione “autocomplete”. In particolare, l’ordinanza ha riconosciuto che tali associazioni, ove colleghino il nome di una persona con un aggettivo a questa “sgradito” ma non diffamatorio in sè, non costituiscono affermazioni diffamatorie e non possono quindi determinare la responsabilità di Google a riguardo.
Di seguito i termini della vertenza. Il presidente di una importante holding aveva rilevato che, digitando nella stringa di ricerca di Google il proprio nome, la funzione di “autocomplete” suggeriva di includere nella richiesta le parole “arrestato” e “indagato”. Ciò, a detta del ricorrente, integrava gli estremi del reato di diffamazione e determinava un danno grave ed irreparabile alla sua reputazione personale e professionale, ragion per cui egli chiedeva al Tribunale di ordinare a Google l’immediata eliminazione dell’accostamento in questione, con fissazione di penale per ogni giorno di ritardo e per ogni successiva inosservanza dell’ordine. (…)
Nel rigettare tali argomenti, accogliendo invece le difese di Google, il Tribunale ha rilevato che la funzione “autocomplete” della stringa di ricerca si limita a suggerire automaticamente le parole “statisticamente più digitate sul motore di ricerca Google dalla comunità degli utenti” in associazione con le prime parole immesse (nel caso in questione, il nome del ricorrente). Tale funzionamento, peraltro, “è compiutamente e chiaramente spiegato in una pagina web” di Google (che immaginiamo essere questa: http://support.google.com/websearch/bin/answer.py?hl=en&answer=106230), per cui un utente internet informato vede chiaramente quale è il significato da attribuire all’accostamento di termini così effettuato.
Ciò premesso, il Tribunale ha quindi ritenuto che nel caso in esame non sussista alcuna affermazione diffamatoria, posto che: i) i termini suggeriti dall’autocomplete in questione non sono di per sé offensivi (diversamente da quanto accadeva in relazione al termine “truffatore” di cui all’ordinanza milanese di qualche tempo fa, di cui avevamo parlato qui in questo blog); ii) l’associazione dei termini in una stringa di ricerca “non è un’affermazione, dovendo piuttosto essere paragonata ad una domanda”, e la domanda se qualcuno sia indagato o arrestato “non è di per sé lesiva della reputazione” di tale soggetto.
In aggiunta, il Tribunale ha precisato che nemmeno può essere ritenuto diffamatorio il diffondere l’informazione che un certo numero di utenti ha voluto verificare in internet se un soggetto sia stato “arrestato” o “indagato”. A tale proposito l’ordinanza ricorda che Google è un Internet Service Provider (in particolare un fornitore di servizi di hosting ai sensi dell’art. 16 del D. Lgs. 70/2003) che in quanto tale non è responsabile delle informazioni generate dagli utenti sui propri server “a meno che l’informazione ospitata sia illecita ed il prestatore sia consapevole di tale illiceità”. Nel caso di specie, tale illiceità non sussiste, posto che l’informazione in questione rientra nelle “situazioni o fatti di per sé non lesivi dell’onore anche se sgraditi a taluno”, e non determina perciò la responsabilità di chi la diffonde.
Alla luce di quanto precede, il Tribunale di Pinerolo ha quindi rigettato il ricorso, condannando altresì il ricorrente a rifondere le spese sostenute da Google.