La famiglia Cipriani non può utilizzare il proprio nome come marchio, dice la Corte d’Appello di Venezia

Lo scorso 30 novembre la Corte d’Appello di Venezia, Sezione Specializzata in materia di impresa, si è pronunciata con la sentenza n. 2798/17 in merito alla controversia tra Giuseppe e Arrigo Cipriani, rispettivamente nipote e figlio del Giuseppe Cipriani fondatore del noto Harry’s Bar di Venezia, e la Hotel Cipriani S.r.l., titolare del celebre omonimo hotel veneziano e originariamente fondata da Giuseppe Cipriani “senior”, poi uscito dalla compagine sociale cedendo l’uso esclusivo del segno “Cipriani”. Di questione simile abbiamo parlato anche qui in questo blog, con riferimento in quel caso allo stilista Elio Fiorucci.

Nel caso di specie era in discussione l’utilizzo da parte di Giuseppe e Arrigo Cipriani di scritte contenenti il nome Cipriani, quali, ad esempio, “by G. Cipriani” o “by the Ciprianis”, per indicare attività di ristorazione e alberghiera.

Nel 2012 il Tribunale di Venezia, chiamato a giudicare in primo grado, aveva accolto le domande di accertamento negativo presentate dai signori Cipriani dichiarando che l’uso di tali espressioni non costituiva atto di concorrenza sleale né contraffazione dei marchi italiani e comunitari “Cipriani” e “Hotel Cipriani”, di titolarità di Hotel Cipriani S.r.l., trattandosi di uso descrittivo lecito ex art. 12 Reg. UE 207/2009 e art. 21 CPI. Aveva confermato dunque la possibilità per la famiglia Cipriani di svolgere attività di ristorazione sotto un segno distintivo incentrato sul proprio nome anagrafico poiché di per sé non decettivo, sempre che proposto in dimensioni grafiche contenute.

La società Hotel Cipriani S.r.l. aveva quindi proposto appello, che la Corte d’Appello di Venezia ha accolto con la pronuncia in esame.

In essa, preliminarmente i Giudici analizzano la possibilità per un tribunale nazionale – adito in funzione di tribunale dei marchi comunitari – di emettere una sentenza di accertamento negativo con efficacia paneuropea, in presenza di una decisione definitiva resa dai giudici di un altro Stato membro (nello specifico: il Regno Unito) che aveva accertato la contraffazione del medesimo marchio comunitario. In proposito, la Corte conclude che “le decisioni prese dal tribunale dei marchi comunitari dello Stato membro in cui avvenne un fatto contraffattorio (forum commissi delicti) non possono che avere un’efficacia limitata al territorio del predetto Stato, e non precludono alle parti la possibilità di adire il tribunale di marchi comunitari competente – con giurisdizione in questo caso estesa a tutto il territorio dell’Unione – mediante azioni di mero accertamento negativo”. Peraltro, l’attore che chiede l’accertamento negativo ben può richiedere che esso sia limitato a una parte del territorio dell’Unione Europea, come avevano in effetti fatto i signori Cipriani chiedendo che ne fosse escluso il Regno Unito.

Quanto al merito della vertenza, la Corte rileva che “l’uso di marchio altrui, ove confusorio, non può ritenersi di per sé conforme ai principi di correttezza professionale”. La conformità dell’uso del patronimico alla correttezza professionale è infatti esclusa “quando avviene in modo tale da poter dare l’impressione che esista un legame commerciale fra il terzo e il titolare del marchio, ovvero quando compromette “il valore del marchio traendo indebitamente vantaggio” o causando “discredito o denigrazione” al carattere distintivo/notorietà del marchio altrui o un uso parassitario, specie in presenza di un marchio celebre”. Ciò si verifica, secondo i Giudici, nel caso di specie, in cui i marchi della Hotel Cipriani S.r.l. sono senz’altro celebri a livello mondiale, vista la reputazione dell’albergo veneziano di essere uno dei migliori hotel del mondo. Così, “l’interpretazione prospettata dal Tribunale (coerente con la possibilità per gli odierni appellati di svolgere attività di ristorazione sotto un segno distintivo incentrato sul loro nome anagrafico poiché di per sé non decettivo, sempre che proposto in dimensioni grafiche “contenute”), presuppone che sia del tutto conforme alla correttezza professionale l’uso del suddetto nome al fine di veicolare un valore di qualità e tradizione …, ma ciò avverrebbe in concorrenza ed aggancio con i marchi celebri “Cipriani” ed “Hotel Cipriani”, con ogni conseguente rischio di confusione e di associazione tra le attività contraddistinte dai segni in conflitto, in presenza di attività imprenditoriali svolte nello stesso settore o comunque in settori affini”.

Peraltro, rileva la decisione, la notorietà della famiglia Cipriani nel settore della ristorazione, sottolineata dal Giudice di primo grado, non può comunque giustificare l’uso del patronimico in contrasto con la tutela dei marchi celebri in questione. In particolare, “detta notorietà… si rivela a ben vedere ininfluente dopo che Giuseppe Cipriani senior (con l’adesione del figlio) ebbe a disporre del suo nome al momento dell’uscita dalla compagine dell’Hotel Cipriani lasciando che la Società conservasse in esclusiva il nome Cipriani”. Né, nel caso in esame, può essere fatta valere l’esigenza di comunicare al pubblico competenze o professionalità, pure sottolineata dal Tribunale, dal momento che – sostengono i Giudici con affermazione che in realtà al giorno d’oggi pare discutibile –, il mondo della ristorazione non richiede una puntuale informazione al pubblico della provenienza della attività realizzata, difettando tale attività degli aspetti di creatività che richiedono invece a un artista o a uno stilista di “firmare” la propria opera.

Tutto quanto premesso, la Corte d’Appello di Venezia accoglie l’appello proposto da Hotel Cipriani S.r.l. e, rigettando le domande di accertamento negativo proposte da Arrigo e Giuseppe Cipriani, condanna questi ultimi a rifondere alla società le spese di lite, per entrambi i gradi di giudizio.

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