Informazioni riservate, il Tribunale di Brescia conferma: il Fallimento è tutelato contro la concorrenza sleale

(La versione italiana originale è pubblicata su Diritto24 – Il Sole 24 Ore)

Una recente ordinanza del Tribunale di Brescia, Sezione Specializzata in materia di Impresa (R.G. n. 16565/17, Giudici dr. Del Porto, dr. Scaffidi e dr.ssa Agnese), ha confermato che le società in fallimento godono di tutela contro la concorrenza sleale. Si tratta di una pronuncia particolarmente importante in un periodo in cui i fallimenti sono aumentati in misura esponenziale e molto spesso i curatori faticano a monetizzare gli asset delle società fallite a causa di ex dipendenti che se ne appropriano indebitamente.

Nel caso di specie una società da poco fallita, in precedenza attiva nel settore delle macchine per la stampa flessografica, aveva rilevato che due suoi ex-dipendenti e due ex-collaboratori avevano costituito una nuova società che produceva e commercializzava macchinari realizzati sulla base dei progetti della fallita, costituenti informazioni riservate della medesima. Tali progetti, il cui valore era stato stimato in centinaia di migliaia di euro, diventavano così pressoché impossibili da vendere da parte del curatore del Fallimento: nessun operatore del mercato era interessato a pagare per acquistarli, sapendo che un’altra società ne era già entrata in possesso, e per di più senza avere sborsato un centesimo per averli. Da qui l’avvio, da parte del Fallimento, di un procedimento cautelare per inibitoria nei confronti della società neo-costituita, tra l’altro per violazione delle proprie informazioni riservate ex art. 98 e 99 CPI e concorrenza sleale ex art. 2598 c.c.

In prime cure cautelari il Giudice adito rigettava il ricorso per asserita eccessiva complessità della questione, che avrebbe richiesto approfondimenti tecnici incompatibili con la sommarietà del rito cautelare, anche per determinare l’effettiva riservatezza delle informazioni. Il Fallimento proponeva quindi reclamo contro la decisione, sottolineando in particolare come, anche ammettendo che la violazione ex artt. 98-99 CPI richiedesse una verifica delle misure di riservatezza troppo complessa per un giudizio cautelare, i numerosi documenti agli atti consentivano comunque già di concludere che la sottrazione delle informazioni medesime costituiva concorrenza sleale ex art. 2598 c.c. A tale tesi la controparte opponeva tra l’altro che il Fallimento, non essendo operativo sul mercato, non poteva godere di tutela contro la concorrenza sleale per mancanza, in radice, del rapporto di concorrenza tra le parti.

In accoglimento della tesi del Fallimento, il Tribunale di Brescia ha rilevato quanto segue: “Il complesso degli elementi probatori individuati appare omogeneo e sufficientemente adeguato, vista la natura del presente procedimento, per ritenere dimostrata l’esistenza del pregiudizio serio e irreparabile al diritto della curatela di monetizzare i beni immateriali della società fallita, senza che altri soggetti, e in particolare la resistente, immettendo illegittimamente sul mercato macchinari che derivano da progetti, disegni e informazioni del Fallimento, possano vanificare tali legittime aspettative. Sussiste il pericolo attuale che il diritto della curatela reclamante, nelle more del giudizio di cognizione piena, possa subire un pregiudizio imminente e irreparabile, dato dalla definitiva perdita di valore degli asset immateriali, che è compito del fallimento monetizzare il prima possibile. ln proposito si rileva che la configurazione della fattispecie di concorrenza sleale sopra richiamata non appare incompatibile, ai fini della concessione della misura cautelare richiesta, con l’intervenuto fallimento della ricorrente, posto che i comportamenti illeciti finora evidenziati risultano idonei ai frustrare la fruttuosità delle aspettative liquidatorie del fallimento”.

In conseguenza, il Tribunale ha accolto il reclamo e inibito la resistente dal produrre e commercializzare i macchinari in questione, fissando una penale di € 50.000 per ogni violazione dell’inibitoria e condannandola altresì al pagamento delle spese di lite.

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