Il Tribunale di Roma ribadisce: nessun obbligo di sorveglianza in capo agli Internet Service Providers
Con ordinanza cautelare emessa lo scorso 16 dicembre nel procedimento civile R.G. n. 40724/2011, la sezione specializzata in proprietà intellettuale del Tribunale di Roma è tornata sul tema della responsabilità degli internet service providers (“ISP”, di cui abbiamo parlato spesso in questo blog, tra l’altro qui). La decisione è stata salutata in maniera particolarmente favorevole dagli ISP, benchè in realtà essa appaia allineata alla giurisprudenza più recente che tende ad individuare una responsabilità degli ISP per i contenuti caricati dagli utenti: nel caso specifico, infatti, la responsabilità dell’ISP viene sostanzialmente esclusa non per ragioni giuridiche ma perchè di fatto l’ISP aveva già provveduto a rimuovere i contenuti illeciti in contestazione.
La vertenza nell’ambito della quale è stato emanato il provvedimento vede contrapposte la ricorrente Reti Televisive Italiane S.p.A. (“RTI”) alle resistenti Google Inc. (“Google”), GoDaddy.Com Inc. e GoDaddy Netherlands BV, le ultime due non costituitesi in giudizio. Oggetto del contendere è il portale “Calciolink”, in passato ospitato sulla piattaforma “Blogger” di Google e ora non più accessibile, che trasmetteva in live streaming eventi sportivi in violazione dei diritti acquistati da RTI sugli eventi stessi. RTI lamenta in particolare che il titolare del portale Calciolink non sarebbe identificabile a causa della mancata collaborazione delle resistenti, e che dovrebbero pertanto ritenersi responsabili per la diffusione dei contenuti illeciti le resistenti medesime, le quali in sostanza, pur essendo state avvertite da RTI mediante lettere di diffida della presenza di tali contenuti sui loro server, avrebbero omesso di impedirne la diffusione. Per tale ragione, RTI chiede che il Tribunale inibisca loro di trasmettere i contenuti costituenti violazione dei suoi diritti.(…)
L’ordinanza si concentra sostanzialmente sulla posizione di Google (qualificato come “hosting provider”), e richiama la normativa del decreto legislativo n. 70/2003 sul commercio elettronico che, agli artt. 16 e 17, stabilisce da un lato l’assenza di reponsabilità dell’hosting provider per i contenuti illeciti memorizzati dagli utenti, purchè l’ISP non sia a conoscenza della loro illiceità e non appena venutone a conoscenza – su comunicazione della autorità competenti – agisca per rimuoverli; dall’altro lato, l’assenza in capo all’ISP di un obbligo generale di sorveglianza sui contenuti che ospita, fermo l’obbligo, se viene a conoscenza di un illecito, di avvisare l’autorità e fornire ad essa le informazioni necessarie per identificare il soggetto responsabile dell’illecito. Richiamata questa normativa, tuttavia, il Giudice romano – in linea con la giurisprudenza più recente – rileva che essa appare ormai inadeguata a descrivere le modalità con cui funziona attualmente il servizio dell’hosting ptovider, che non si limita più a fornire accesso ad una rete in cui l’utente memorizza i suoi contenuti, ma partecipa a sua volta all’organizzazione dei contenuti immessi dagli utenti, ad esempio indicizzandoli, individuando e presentando all’utente finale i contenuti “correlati”, effettuandone uno sfruttamento economico (pubblicitario). Tant’è, rileva l’ordinanza, che la stessa Google ha predisposto un servizio di segnalazione di abusi che implica che essa Google “sia sssuma un autonomo onere di controllo dei contenuti immessi e si riservi il diritto di escluderli”.
In tale quadro normativo, tuttavia, il Tribunale rileva che in realtà Google aveva già disattivato l’accesso al portale e ai contenuti illeciti in contestazione prima della notifica del ricorso per inibitoria di RTI, ragion per cui non ricorrono i presupposti di fatto per ordinargli di impedire la diffusione dei contenuti illeciti. In particolare, precisa l’ordinanza, in assenza di contenuti illeciti attualmente presenti nei server di Google, non è possibile vietare a quest’ultimo l’eventuale, futura diffusione di contenuti illeciti non ancora presenti nella sua rete, posto che (ed è questa la parte di decisione che è stata particolarmente apprezzato dagli ISP) non gli si può imporre di sorvegliare in tempo reale i contenuti che verranno immessi in futuro dagli utenti: si tratterebbe infatti di un onere non esigibile per via della complessità tecnica e del costo di una simile attività, e che comunque, anche se non esistessero tali difficoltà, non sarebbe esigibile dall’ISP perchè confliggerebbe con l’impossibilità di imporre agli ISP un obbligo di sorveglianza dei contenuti (recentemente ribadita dalla CGUE, come da nostro post qui), nonchè con il diritto alla libera manifestazione e comunicazione del pensiero.