Il Tribunale di Milano sulla limitazione del brevetto in corso di causa

Lo scorso 17 gennaio la Sezione Specializzata in materia di Impresa “A” del Tribunale di Milano ha emanato un’interessante e articolata sentenza (n. 490/17) in materia di limitazione del brevetto in corso di causa. La questione, di cui abbiamo parlato anche qui in questo blog, è regolata dall’art. 79 co. 3 CPI che, in conformità con l’art. 138 co. 3 CBE, recita: “In un giudizio di nullità, il titolare del brevetto ha facoltà di sottoporre al giudice, in ogni stato e grado del giudizio, una riformulazione delle rivendicazioni che rimanga entro i limiti del contenuto della domanda di brevetto quale inizialmente depositata e non estenda la protezione conferita dal brevetto concesso”.

Il caso da cui origina la sentenza si era distinto per la particolare lunghezza e complessità, determinate dal fatto che la titolare del brevetto aveva depositato quattro istanze di riformulazione delle rivendicazioni in diverse fasi del giudizio, con conseguente necessità di disporre tre consulenze tecniche e di rimettere in istruttoria il giudizio per due volte. Alla fine, con il quarto set di rivendicazioni, la titolare era riuscita a ottenere dai CCTTUU incaricati una pronuncia di validità del brevetto, ritenuto invece nullo nella versione originariamente concessa e in quelle risultanti dalle precedenti tre riformulazioni. Da qui l’attenzione dei giudici per i limiti della facoltà di riformulazione e per la sua efficacia.

La sentenza conferma innanzitutto che il titolare di un brevetto può riformulare le rivendicazioni in corso di causa senza limitazioni quanto a fase processuale, grado di giudizio e numero di modifiche. A fronte dell’istanza di limitazione, infatti, “il giudice, di qualunque grado sia (di merito e di legittimità), non può che prenderne atto, essendosi avuta una limitazione dell’oggetto della domanda mediante disposizione del diritto controverso. È questione di disposizione del diritto sostanziale, sempre riconosciuta alla parte”. La facoltà di riformulazione, tuttavia, “non può essere esercitata in modo abusivo e reiterato, ma deve esserlo sempre secondo i canoni del giusto processo, anche al fine di evitare e scongiurare il più possibile un’eccessiva durata dello stesso, rendendo necessari continui ed iterativi accertamenti peritali sulle riformulazioni via via avanzate”.

Quanto al contenuto, la riformulazione non deve necessariamente limitarsi a un mero accorpamento di rivendicazioni, “ma può consistere in aggiunte e specificazioni che attingano al contenuto del brevetto”. Tuttavia, è necessario valutare con cautela le aggiunte estrapolate dalla descrizione e dai disegni, per evitare che esse arrivino a fornire informazioni non evincibili in modo oggettivo dal brevetto originariamente concesso: “le inclusioni di caratteristiche nelle rivendicazioni devono rispettare le reali informazioni contenute nella descrizione originale (…). Nelle rivendicazioni può essere inserita solo materia evidente nella domanda come depositata e non materia solo teoricamente compatibile con i disegni di corredo”.

In ogni caso, precisano peraltro i giudici, la titolare del brevetto deve formulare in maniera precisa le nuove rivendicazioni da sottoporre al giudice, non essendo possibile proporre al giudice (o al CTU) una serie di alternative tra cui questi debba individuare una riformulazione delle rivendicazioni che dia validità al brevetto.

La sentenza si sofferma infine sull’efficacia delle rivendicazioni riformulate, escludendo che, in un caso come quello in esame, si possa riconoscere validità al brevetto riformulato a far data dalla concessione del brevetto originario ritenuto nullo. Infatti, “non è esigibile che le specificazioni, precisazioni e caratteristiche aggiunte fossero conosciute e previste [dal terzo] sin dall’originaria domanda di registrazione”, la cui invalidità ha portato, all’esito di anni di consulenze tecniche, alla riformulazione capace di farne salva la validità. È quindi necessario “contemperare l’esclusività del titolo brevettuale con il principio della certezza giuridica circa l’ambito della protezione, dovendosi altresì considerare che esso va determinato sulla base delle sole rivendicazioni, mentre la descrizione e i disegni servono solo ad interpretare le rivendicazioni (art. 52 comma 2 CPI).”. In sostanza, afferma la sentenza, “al terzo può imporsi una diligente lettura del titolo ed una attenta prognosi della sua validità, ma non certo pretendersi di divinare tutte le potenziali riscritture del brevetto che il titolare potrebbe effettuare ex art. 79 comma 3 CPI, prendendo dettagli esclusivamente dalla parte descrittiva e financo dai disegni”.

Nel caso concreto, rilevano i Giudici, “il faticoso conseguimento di una riformulazione delle rivendicazioni attraverso plurimi contributi tecnici e per successiva approssimazione, passata attraverso non pochi anni di contenzioso in sede tecnica, impedisce di riconoscere tutela brevettuale a far tempo dall’originaria concessione, bensì limitatamente a far tempo dalla riformulazione ritenuta dai tecnici conforme ai presupposti di brevettabilità”. La sentenza arriva quindi a riconoscere la validità del brevetto per il solo periodo intercorrente tra la quarta riformulazione delle rivendicazioni e la scadenza del brevetto medesimo.

Pur non ritenendo abusivo il comportamento della titolare del brevetto, i giudici mostrano peraltro il loro sfavore per l’utilizzo della facoltà di riformulazione da essa effettuato: sulla base dell’iniziale nullità del brevetto e delle numerose riformulazioni, infatti, compensano le spese di lite e pongono a integrale carico della titolare del brevetto tutte le spese di CTU.

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Workshop “Privacy e dati medici” – Milano, 30 marzo 2017

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