Concorso di contraffazione di modello e imitazione servile: un caso esemplare
La recente sentenza n. 8215/2014 del Tribunale di Milano, Sezione specializzata in materia di impresa, pur non presentando novità giurisprudenziali di rilievo, costituisce un precedente esemplare di cumulo di tutele della forma dei prodotti (tema peraltro già affrontato qui).
Una nota azienda italiana produttrice di elettrodomestici aveva agito in via d’urgenza contro una concorrente per la tutela di un proprio modello ornamentale (ma il vigente Codice della proprietà industriale usa l’endiadi “disegni e modelli”) relativo a una pistola a vapore (fig. 1 qui sotto) e per quella del prodotto realizzato sulla base di tale modello (fig. 2).
La ricorrente asseriva, in particolare, che una certa pistola a vapore commercializzata dalla controparte (fig. 3 qui sotto) costituisse, ad un tempo, contraffazione del modello e imitazione servile, rilevante sotto il profilo della concorrenza sleale confusoria, del proprio anteriore prodotto.
Il Giudice del cautelare aveva concesso le misure richieste della descrizione inaudita altera parte e, in esito all’udienza di conferma, del sequestro e dell’inibitoria. La ricorrente aveva dunque introdotto il giudizio di merito per l’accertamento definitivo degli illeciti lamentati e la condanna al risarcimento dei danni.
Con la sentenza qui commentata, il Collegio ha, nella sostanza, riconosciuto le ragioni dell’attrice, rigettando la domanda riconvenzionale di nullità del modello svolta dalla convenuta e accertando sia la contraffazione del modello stesso, sia la concorrenza sleale.
Sotto il primo profilo, il Collegio ha ritenuto che il prodotto della convenuta non producesse nell’utilizzatore informato un’impressione generale diversa dal modello, riprendendone invece proprio gli elementi individualizzanti, in particolare
“l’abbinamento del corpo a boccia con fondo appiattito e la ripetizione delle nervature lungo le linee dei paralleli nell’emisfero superiore rastremato verso l’alto del collo. Da quest’ultimo si diparte un elemento di impugnatura munito di sagome ergonomiche che si incurva verso il basso e reca all’estremità un elemento a pulsante di comando”
Gli elementi di differenziazione sottolineati dalla difesa della convenuta (caldaia sagomata verso l’interno a differenza di quella assolutamente sferica del modello, pancia dal diametro inferiore con forma più allungata, nervature ondulate e di numero inferiore) sono stati giudicati, invece, impercettibili ad una valutazione sintetica e non analitica.
Quanto alla concorrenza sleale, il Collegio ha ritenuto realizzata
“un’ulteriore modalità di lesione … che merita autonoma censura con il rimedio di cui all’art. 2598, comma 1, c.c.: si tratta della pedissequa ripetizione dell’abbinamento dei colori giallo/nero, sia nella gradazione e nella tonalità, sia nella disposizione sul prodotto –di colore giallo il corpo centrale e neri l’ugello, la parte inferiore di appoggio del prodotto ed il tappo in alto- sì da rendere i due prodotti del tutto identici.”*
Questo profilo, ha aggiunto il Collegio,
“… non è preso in considerazione nel modello e, dunque, integra un autonomo illecito proprio sotto il profilo dell’imitazione confusoria, accentuando la confondibilità presso il pubblico dei prodotti”
Il Tribunale ha pertanto condannato la convenuta al risarcimento del danno, tenuto anche conto della presunzione di colpa di cui all’art. 2600 c.c., pronunciando anche inibitoria definitiva assistita da penale e pubblicazione per estratto della sentenza su rivista specializzata.
* Si noterà che il prodotto dell’attrice in fig. 2, immagine reperita in Rete, in realtà ha colori leggermente diversi; è probabile che la livrea del prodotto sia cambiata negli anni (il giudizio è cominciato nel 2010).