La CGUE vieta l’imposizione di sistemi di filtraggio agli Internet Service Providers

Con sentenza emessa oggi nella causa C-70/10, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE) è tornata sul tema della responsabilità degli Internet Service Providers (ISP) affermando che è incompatibile con il diritto dell’Unione l’ingiunzione di un giudice nazionale che imponga ad un fornitore di accesso ad Internet di predisporre un sistema di filtraggio per prevenire gli scaricamenti illegali di file.

La sentenza trae origine dal contenzioso sorto tra la Scarlet Extended SA, fornitore di accesso a internet, e la SABAM, società belga analoga alla nostra SIAE che si occupa di autorizzare l’utilizzo da parte di terzi delle opere musicali di autori, compositori ed editori ad essa iscritti. In particolare, la SABAM lamentava che alcuni utenti internet clienti della Scarlet scaricassero da internet, tramite reti peer-to-peer, senza autorizzazione e senza pagarne i diritti, opere contenute nel suo catalogo. (…)

Su istanza della SABAM, il presidente del Tribunal de première instance de Bruxelles aveva ordinato alla Scarlet, a pena di ammenda, di far cessare tali violazioni del diritto d’autore, impedendo ai suoi clienti di inviare o di ricevere mediante programmi «peer to peer» file che contenessero un’opera musicale appartenente al repertorio della SABAM. Contro tale decisione la Scarlet aveva però interposto appello, e la Cour d’appel di Bruxell aveva quindi adito la CGUE chiedendo se il diritto dell’Unione consenta agli Stati membri di autorizzare un giudice nazionale ad ingiungere ad un fornitore di accesso a Internet di predisporre, in modo generalizzato, a titolo preventivo, esclusivamente a spese di quest’ultimo e senza limiti nel tempo, un sistema di filtraggio delle comunicazioni elettroniche avente la finalità di identificare gli scaricamenti illegali di file.

La CGUE si è quindi pronunciata in favore dell’ISP, ricordando che la direttiva sul commercio elettronico vieta alle autorità nazionali di adottare misure che obblighino un fornitore di accesso ad Internet a procedere ad una sorveglianza generalizzata sulle informazioni che esso trasmette sulla propria rete. Poichè l’ingiunzione emanata dal giudice belga obbligherebbe la Scarlet a procedere ad una sorveglianza attiva su tutti i dati di ciascuno dei suoi clienti per prevenire qualsiasi futura violazione di diritti di proprietà intellettuale, tale ingiunzione non è conforme a tale direttiva e quindi al diritto dell’Unione. Peraltro, rileva la corte, imporre alla Scarlet di adottare un sistema di filtraggio (addirittura illimitato nel tempo) causerebbe una grave violazione della libertà di impresa della Scarlet, poiché l’obbligherebbe a predisporre un sistema informatico complesso, costoso, permanente e interamente a sue spese. Infine, gli effetti dell’ingiunzione non si limiterebbero alla Scarlet, poiché il sistema di filtraggio controverso sarebbe idoneo a ledere anche i diritti fondamentali dei suoi clienti, ossia i loro diritti alla tutela dei dati personali e la loro libertà di ricevere o di comunicare informazioni, diritti, questi ultimi, tutelati dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

Inutile dire che la decisione sarà presumibilmente salutata in maniera molto favorevole dagli ISP, essendo in linea con le loro critiche sui sistemi di filtraggio che ad essi giurisprudenza e normativa possano voler imporre.

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